E Gianrico Carofiglio ci ripropone il personaggio dell’investigatrice Penelope Spada in questo nuovo ed atteso romanzo dal titolo Rancore (edito da Einaudi, Collana Stile Libero Big, pag.238).
Vittorio Leonardi, un barone universitario ricco e potente muore all’ improvviso. Il medico certifica che si tratta di cause naturali. La figlia però non ci crede e si rivolge a Penelope Spada, ex P.M. con un mistero alle spalle ed un presente di quieta disperazione. L’indagine sulle prime appare senza prospettive ma pian piano diventa una resa dei conti con il passato, un appuntamento con il destino e con l’improvvisa ed inattesa possibilità di cambiarlo.
Ecco come lo stesso autore ne parla: «Cosa vogliono le vittime dei reati? Le persone ingiuriate dal crimine , quelle che hanno perso i propri cari o la propria dignità? La punizione dei colpevoli? Certo, anche questo. Ma la punizione, la vendetta più o meno regolata dalle leggi, è in gran parte un’illusione ottica. Ciò che le vittime vogliono davvero è la verità. L’unica cosa che nel lungo periodo è capace di guarire le ferite, di placare il dolore».
Noi di Mydreams abbiamo seguito un incontro con Gianrico Carofiglio organizzato da Connessioini per le librerie UBIK.
Come e quando nasce il personaggio di Penelope Spada?
«Non è facile rispondere a questa domanda che spesso viene rivolta ad uno scrittore. Alcuni di essi sono abili nel ricostruire a posteriori la nascita di un personaggio letterario. Io non riesco. Posso dire di aver sempre accarezzato l’idea di scrivere un romanzo con protagonista un personaggio femminile potente, un po’ fuori dalle righe e cimentarmi in un racconto tutto al femminile. La Mondadori qualche anno fa me ne offrì la possibilità in occasione dei 90 anni dei Gialli Mondadori. Accettai la sfida proponendomi di dare vita ad un personaggio credibile. Iniziando a scrivere è ovvio che si convive con il personaggio e Penelope Spada è il più autobiografico personaggio che io abbia costruito. Ho sempre mantenuto un’etica della scrittura e già dall’inizio sapevo cosa fosse successo a penelope che faceva il magistrato, travolto dalle critiche».
Rancore è scritto in prima persona. È stato difficile calarsi in una donna?
«Le mie lettrici mi hanno sempre detto che scrivo come una donna e questo è per me fonte di soddisfazione. Devo confessare che nei primi capitoli avevo usato la terza persona che con questo espediente si crea una sorta di protezione perché scrivere utilizzando la prima persona è una fora di scrittura impegnativa, rischiosa, autoreferenziale. Poi ho pensato che era una vigliaccata e che dovevo assumermi tutta la responsabilità e correre dei rischi. Penelope mi calzava come un guanto e non ho mai pensato di scrivere come una donna. Tutto è stato naturale, fluido ed i lettori me lo hanno confermato con i loro giudizi positivi».
Oltre Penelope Spada, il romanzo è ricco di personaggi femminili molto sfaccettati e complessi. Ce ne puoi parlare?
«Cito sempre una frase di Bertolt Brecht che mi ispira: “Ci sedemmo dalla parte del torto perché tutti gli altri posti erano occupati”. Voglio dire che le storie che racconto hanno come protagonisti i perdenti che poi si ribellano. Per esempio Rachele è un personaggio che amo molto. Quando ho iniziato a scrivere era un personaggio di servizio ossia un personaggio creato per fare andare avanti la storia . Poi ho provato una forte tenerezza e le ho dato più spazio».
Quale personaggio ha richiesto uno sforzo creativo maggiore? Quale ti ha intrigato per primo ed è stato più ostico e forse ci hai litigato di più?
«Ho fatto fatica nel tratteggiare la figura della donna che invita Penelope ad indagare sulla figura paterna. Ma chi legge il libro si accorge subito della fatica che ho fatto nel relazionarmi con questo personaggio. C’è un’indifferenza di fondo per chi si accorge di un’interiorità che non aveva coltivato. Mi viene in mente una frase del Macbeth di Shakespeare: “Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi”. In altre parole le emozioni hanno bisogno di parole».
I tuoi trascorsi di magistrato e di parlamentare ti sono serviti come scrittore?
«Anche quando facevo il magistrato avevo il desiderio di scrivere. Nel profondo pensavo che fosse una velleità, qualcosa di passeggero anche perché le prime cose che scrivevo, diciamocelo francamente , facevano schifo ma io non ne ero consapevole. Poi nel 2000, coraggiosamente, mi hanno pubblicato Testimone inconsapevole e la scrittura ha preso il sopravvento. Non c’è alcun dubbio che tutto quello che ho imparato sull’umanità e la disumanità sia confluito nei miei libri. Ciascuno di noi non è altro che il risultato di ciò che ha fatto, delle esperienze vissute. Penelope ha lasciato la magistratura per un evento tragico, cosa che a me non è capitata ma la nostalgia di Penelope è la mia».
Le persone ricercano la verità ma con il tempo si riducono quelle che effettivamente la ricercano. Pensi che i lettori dei tuoi romanzi abbiano degli anticorpi in più?
«Certo che li abbiamo! Per essere un buon magistrato devi leggere molti romanzi per scoprire che il nostro modo di vedere la realtà non è l’unico possibile. La letteratura ci offre questa possibilità. Elias Canetti dice che la verità è un mare di fili d’erba mossi dal vento. I libri sono un antidoto, un vaccino contro la barbarie di oggi. Non dobbiamo leggere storie edificanti ma storie che ci fanno riflettere, discutere. La letteratura ci offe le parole per dire ciò che non siamo capaci di esprimere».
Penelope Spada è infatti un’accanita lettrice. Hai un po’ di nostalgia degli anni ‘70?
«Non ho la nostalgia del ricordo. Mi piace chiacchierare con me stesso anche da giovane. Le diverse età della vita possono dialogare tra loro anche nella stessa persona. A questo proposito mi viene in mente un racconto gotico-fantastico da me scritto che ha per titolo La forma delle nuvole».
Pensi di scrivere altri romanzi con protagonista Penelope Spada?
«Non credo. Preferisco che i miei romanzi siano definiti non gialli o polizieschi ma investigativi e offrire sempre al lettore lo stimolo per girare la pagina».