È il frutto di un’intensa sperimentazione il nuovo album del cantautore e chitarrista sardo Giacomo Deiana, dal titolo “Single”, che rappresenta il sequel del primo disco “Pochi istanti prima dell’alba”. Con la sua chitarra Giacomo Deiana ci accompagna in un viaggio musicale passando tra immagini del passato, paesaggi suggestivi, incontri ed attese silenziose. Il cantautore sardo non vedente dall’età di dodici anni, inizia i suoi studi di musica sin da bambino, ascoltando jazz, pop, rock e classica. Oggi, come docente di chitarra, insegna con abnegazione e dedizione, tramandando ai suoi allievi conoscenza e passione.
Il tuo nuovo album “Single”rappresenta la trasposizione in musica di stati d’animo, di momenti difficili e spensierati. La musica, quindi, ti rende libero?
«Direi che in generale l’arte e la cultura rendono liberi gli esseri umani in quanto strumenti per imparare e sperimentare l’empatia, senza la quale sentire le emozioni e i sentimenti del prossimo è praticamente impossibile. Quindi sì, quando si vive l’arte con sincero spirito di ricerca si lotta per la propria e altrui libertà, quando invece la si utilizza per i propri meri scopi personali la si tradisce, si perde un’occasione preziosissima».
L’album contiene cinque brani strumentali, tra i quali Vadinho, che si contraddistingue per i suoni latini e le sfumature tipiche della bossa nova. Dal punto di vista musicale, da quali ispirazioni è stato concepito?
«La bossa nova nasce come un genere di fusione, capace di accogliere le armonie del jazz e fonderle con la musica popolare latina, ma, proprio per la sua natura, in seguito ha accolto in sé influenze dal rock e dal pop. La contaminazione in musica mi ha sempre affascinato, infatti chi mi conosce sa che non mi fermo ad un genere, ma nella mia raccolta di dischi si può trovare di tutto, dal metal più estremo, al jazz, alla musica italiana, all’integrale della produzione Bachiana. Così scrivo io, lasciando andare l’immaginazione, senza troppo guidarla, ed è così che il personaggio più forte del romanzo “Dona Flor e i suoi due mariti” è venuto a trovarmi!».
L’altro brano strumentale Barcellona-Saragozza rivive un viaggio in treno insieme alla tua famiglia. Che ricordi conservi ?
«Non ricordi, ma immagini. I ricordi sono dolorosi, le immagini puoi decontestualizzarle, dar loro una tenerezza e dei nuovi contorni che ne idealizzano il contenuto, puoi rielaborare e rivivere secondo un racconto che questa volta sei tu a scrivere, non la contingenza degli eventi».
Serena è una canzone pop, un tautogramma con la lettera S. Com’è nata quest’idea?
«Mi piacerebbe avere una bella storia da raccontare in proposito, ma la verità è che i miei brani nascono quando neanche io mi aspetto. Come tante mie canzoni è nata mentre aspettavo l’ora di uscire per un appuntamento. Ecco, una caratteristica non rara della musica che scrivo è che nasce nei momenti di attesa, in quel tempo sospeso tra un’attività e l’altra, nei periodi di non tempo».
Attraverso il video del singolo Serena hai condiviso la tua quotidianità. Il messaggio profondo contenuto, invita ognuno di noi ad oltrepassare il muro dell’egoismo, per scoprire la vita nella sua vera essenza.
«Il video di Serena è un misto tra un faro puntato su elementi su cui raramente si sofferma l’attenzione delle persone e uno sfogo personale. La comunicazione odierna ha bisogno di contenuti a getto continuo, senza le pause e le soste necessarie alla genuina creatività, e questo mi devasta perché non sono in grado, né fisicamente, né mentalmente di star dietro a questi ritmi».
Quali artisti ascoltavi da bambino e da ragazzo?
«Da bambino principalmente musica classica, quando invece sono stato in grado di scegliere autonomamente i miei ascolti soprattutto hard-rock e metal, anche se il disco che mia ha cambiato la vita è stato “Fronte del palco live” di Vasco».
La musica ti ha permesso di scoprire la tua parte interiore. Quando è scaturita in te l’esigenza di comporre?
«Fare musica ti costringe a conoscere te stesso, in maniera profonda, sia che tu scriva la musica che suoni, sia che decida di essere solo un interprete. Suoniamo come siamo, se rifiutiamo questa realtà per concentrarci solo sugli aspetti esteriori della pratica musicale la nostra sarà una produzione superficiale e di scarso contenuto. Ho sempre sentito l’esigenza di scrivere canzoni, ma solo all’età di 25 anni ho ritenuto che ciò che stavo producendo fosse all’altezza delle orecchie di un pubblico che, cerco di non scordarlo mai, ha già sentito tanta musica meravigliosa. Ho atteso quindi che fosse davvero autentico e rappresentativo del mio mondo, per quanto possibile, ciò che avrei proposto, proprio per rispetto nei confronti del pubblico e dei miei colleghi, contemporanei e non».
Definisci la tua attività da insegnante di chitarra “la più nobile delle tue occupazioni”. Quanto ti gratifica insegnare?
«Insegnare è una attività di responsabilità incommensurabile e, ti dirò, non mi chiedo mai quanto mi gratifichi o cosa mi dia gioia, se i risultati degli allievi, se la gratitudine dei genitori, quanto piuttosto quanto sto dando, se veramente sto impegnando il massimo della mia attenzione sul lavoro che stiamo svolgendo. Lo so, sembra una risposta ingessatissima da primo della classe, però è così, giuro».