La denominazione “fuori sede” è ovviamente un falso d’autore, come a dire che volevamo riferirci ad altro. Crediamo sempre che un luogo e una società come quella napoletana abbia un influsso davvero predominante nel modo di fare arte e di contaminarla. Ci sembra dunque assai misterioso su come, un artista napoletano di lungo corso come Giacomo Casaula, possa realizzare un disco che alla sua napolitanità deve assai poco. O forse niente… “Amore sintetico” è un lavoro di pop d’autore che quasi non vuole geografia e inflessione, vuol mantenersi apolide e di tutto, come un perfetto passepartout artistico. Dunque napoletano si, ma “fuori sede” artistica…
Napoli e le sue maschere. Sono elementi che per noi che viviamo questo territorio sembrano imprescindibili. Eppure questo disco sembra depurarsi da certe farse popolari. Sembra? Oppure ci sei riuscito?
Onestamente non lo so, credo di sì. Il mio obiettivo era parlare di precarietà, liquidità sociale e sentimentale, tutto ciò che nel momento della scrittura mi appariva scolorito, sintetico appunto.
E se ti chiedessi cos’hai realmente preso da quel certo modo teatrale di vivere e guardare la vita?
Il Teatro fa parte di me, è il mio fuoco, la mia passione, il mio lavoro. Credo che uno sguardo teatrale mi appartenga da sempre. Non c’è filtro tra realtà e finzione, sipario e vita reale.
Attore… e dunque il teatro nel fare canzone? Come porti in scena questo disco, come lo canti…? E qui il rimando a Modugno è davvero immediato…
No, qui la definizione è precisa, Teatro-canzone, un genere drammaturgico proposto per la prima volta da Gaber e Luporini nel 1970. Il disco viene presentato nell’interezza progettuale di questo genere, un unico racconto fatto di canzoni e monologhi che abbia una struttura salda e coerente.
Sintetico tutto anche la copertina che sembra un mero gioco grafico. Eppure? La chiave di lettura?
La copertina, disegnata da Adelaide Sara Cavallo, voleva riprendere proprio il concetto della sintesi estrema. Poche immagini frapposte che possono essere interpretate in diverso modo e che danno un’idea chiara di quello che il disco e il progetto vogliono veicolare.
E poi in rete, il singolo, ci lascia capire subito che l’uomo torna ad una dimensione nuda e senza maschere… perché penso sia questo il vero DNA del disco… cosa ne pensi?
Concordo in pieno. Aggiungerei anche di nuovo senza filtri, proprio come tra sipario e vita reale.