Immerso nel silenzio delle Dolomiti e rapito dal fascino dei suoi laghi, delle sue valli e dei suoi sentieri alpini, il chitarrista e musicista Germano Seggio compone un concept album dal titolo “Alta quota”. Viaggiando tra il blues, il rhythm and blues, il pop, il rock, il country e l’irish, Germano compone sette appassionanti brani strumentali inediti. Così, attratto da paesaggi ameni in alta montagna compone la title track “Alta quota”, scrive il brano “Braies” davanti ad un incantevole lago e poi “Countrysh” sostando nel Rifugio Lagazuoi, “Corno bianco” dopo un’escursione sulla vetta delle Dolomiti di Fiemme, “49 Bis” attraversando la Val Pusteria, “Cavalese” visitando un borgo della Val di Fiemme ed “Anterselva” conquistato dai suoni emessi dal lago ghiacciato. “Alta quota” è stato anticipato dal video della cover “Mad World” ed il brano è stato inserito nel disco in due versioni diverse.
È uscito il tuo nuovo disco “Alta quota” un concept album che trae ispirazione dalle Alpi delle Dolomiti. Cosa ti hanno trasmesso questi angoli di paradiso? Quando è scaturita in te la passione per la montagna?
«L’amore per la montagna è nato da un’esperienza traumatica, un incidente in moto. Mi sono ritrovato in un centro di riabilitazione a Cortina e solo dopo tre anni ho cominciato a camminare da solo. Innamorato perdutamente di borghi e sentieri alpini meravigliosi che mi hanno trasmesso sfide positive, non potevo fare altro che dedicare a questi luoghi un intero album».
Le prime note le hai composte proprio lì in alta montagna?
«Sì, l’idea del disco prende il via sulla famosissima panchina panoramica del lago di Braies, avevo tra le mani una chitarra acustica e sono partite le prime note».
Il brano pop “Alta quota” regala all’ascoltatore una sensazione di pace. Cosa provavi quando l’hai composta?
«Quando ti trovi a quelle altitudini, davanti a degli scenari mozzafiato, provi veramente una sensazione di pace interiore e di rispetto per la natura, che ti permettono di viaggiare con la mente e di traslare quelle emozioni in arte. Così come un pittore disegna il quadro della sua vita, un musicista compone le prime note di un brano».
Il rock contraddistingue “Corno bianco” un brano ricco di carica e di energia…
«È il frutto di una gioia immensa provata dopo una scalata di quattro ore. Arrivai lì sulla vetta delle Dolomiti di Fiemme, sentivo la stanchezza, poi quando discesi mi ritrovai tra le mani un pezzo energico, il più rock del disco, che definirei uno sfogo liberatorio».
“Cavalese” propone un blues e “Countrysh” un country. Ma quale genere rivela l’essenza del chitarrista e musicista Germano Seggio?
«Mi sento legato al blues e al R&B. Credo che quando ti trovi davanti ad un camino scoppiettante e fuori nevica, si crea quell’atmosfera e quel mood che ti mettono in pace con te stesso, permettendoti di sentire il blues nell’aria. Countrysh è un misto di country ed irish, quindi con una tonalità ritmica country, ma melodicamente molto irish. Cavalese è il pezzo blues per eccellenza del disco, un brano trascinante che incita quasi a ballare».
Dedichi il disco a tuo padre, lui che ti ha incentivato a studiare musica. Come hai vissuto i primi approcci con la chitarra e gli insegnamenti di tuo padre?
«I primi approcci sono stati negativi, infatti, mio padre mi diede la sua chitarra per suonare, quando avevo appena 7 anni, ma non riuscivo a fare gli accordi ed allora presi la chitarra e la spezzai. Lui per un mese non mi parlò, avevo distrutto uno strumento a cui teneva molto. In seguito mi compró la mia prima chitarra e disse: “adesso se la distruggi sarà l’ultima”. Capii che avrei dovuto dedicare del tempo a studiare musica. Ho deciso di seguire la strada di papà. Quando è venuto a mancare, qualche anno fa, ho sentito la necessità di dedicargli un disco».
Sei diventato un insegnante di chitarra e dirigi la Modern Music Academy di Palermo. Come vivi l’esperienza come maestro di musica?
«Vivo l’insegnamento con grande responsabilità, le mie lezioni si basano su un fondamento teorico, tecnico e scientifico, ma lascio sempre uno spiraglio aperto, rendendo libera l’immaginazione del musicista».
Quale collaborazione è stata determinante nel tuo cammino artistico?
«La più formativa direi che è stata l’esperienza presso i “Real World Studios” di Peter Gabriel, ci misero a disposizione la big room, la sala di registrazione più grande degli studios. Successivamente partì il “WOMAD Tour” durato 5 anni in giro per il mondo dal Sud Africa, all’Inghilterra, fino in Spagna. Ritrovarsi a 22 anni a suonare negli studios londinesi dove prima vi erano stati i Rolling Stones ed i Beatles è stato davvero gratificante».
Quali saranno i tuoi impegni nei prossimi mesi?
«Sono previsti degli show case nei negozi più importanti d’Italia e in estate parteciperò ai vari festival musicali delle Dolomiti».