Sono due i singoli che possiamo rintracciare in rete: “Se qualche volta” e “Per due parole”. I più affezionati li riconosceranno. Parliamo di un prezioso omaggio alla grandissima Jula De Palma, alla sua biografia musicale percorsa in lungo e in largo dal nuovo disco in arrivo di Franco Naddei e Sabrina Rocchi. Una produzione che si pregia del lavoro rigorosamente analogico del noto studio di Forlì L’Amor Mio Non Muore – e qui ritroviamo ovviamente la firma di Roberto Villa – e soprattutto del suono nelle soluzioni estetiche che Naddei ha cercato di confezionare in questo tempo apocalittico e sempre proiettato al futuro. Non una riscrittura e una nuova codifica dunque, ma il difficile obiettivo di ritornare al passato senza perdere la propria personalità e soprattutto l’attualità che stiamo vivendo. Difficile come concetto da spiegare e quindi vi rimandiamo all’ascolto di questi primi due singoli per capire che magica alchimia si sta creando e quale sia la storia che ci attende, unica e capace di far incontrare l’epoca italiana degli anni ’60 con le rigide perfezioni di questo tempo segnato dal digitale e da un certo modo di pensare alla musica.
Dopo “Mostri” torni di nuovo a dar voce al passato, ai grandi autori che in qualche modo hai incontrato. Continua dunque un filone di omaggi nella tua carriera?
«Credo sia fondamentale concedersi una fase di studio e approfondimento quando si accende la scintilla per fare una raccolta di canzoni come un disco. Da “Mostri” a “Ripensandoci” sto continuando ad osservare la scrittura della forma canzone in tutti i suoi aspetti, sia quello cantautoriale che quello compositivo in senso stretto. Osservare, smontare e rimontare brani è una cosa che mi piace sempre moltissimo. Un gioco che diventa studio e ricerca nel trovare soluzioni per arrangiamenti e suoni che alla fine diventano parte del tuo bagaglio per i lavori successivi. Non nascondo che dopo tutto anche questo disco, come “Mostri”, mi sta dando molti stimoli per fare il primo disco di brani originali a nome Naddei. Sono molto grato a Sabrina di avermi dato la possibilità, e anche il coraggio, di affrontare un repertorio completamente fuori dal mio solito. Il centro di tutto è sempre l’analisi della scrittura di brani che, osservati da lontano, possono sembrare semplici ma che, quando metti loro la lente d’ingrandimento, svelano tutto un intreccio di piccoli e grandi spostamenti che li rendono emozionanti. Poi c’è il gioco dei suoni che vestono le parole. Da incosciente non mi spaventa vestire i grandi cantautori di suoni elettronici e pulsanti così come mi diverte sostituire una grande e preparata orchestra, come quelle dietro ai brani del repertorio di Jula, con una band dal suono moderno. Infine l’idea di fare un disco da direttore di questa piccola orchestra, senza praticamente né suonare né cantare quasi niente, mi ha permesso di scrivere degli arrangiamenti più complessi del mio solito dato che ho potuto affidarli a bravissimi musicisti, oltreché amici e compagni di mille avventure sonore».
Inevitabile non chiedertelo: oggi perché decidete (in coppia con Sabrina Rocchi) di dedicare un intero disco a Jula De Palma? Cosa rappresenta per te, per voi?
«La storia di Jula de Palma è la storia di una grande e preparata artista che ha cercato la vetta, l’ha trovata e poi ha deciso di sparire senza clamori per il semplice motivo di non sopportare la fase calante di una carriera straordinaria e ancora di più per dedicarsi alla famiglia andandosene in Canada. Il suo modo di cantare fu giudicato ardito, non convenzionale, e fu pure censurata in un Sanremo dove non si poteva accettare che una donna esprimesse troppa sensualità. Tutti elementi che hanno a che fare con la voglia di andare oltre il già noto mettendoci dentro quella voglia di sperimentare sempre mantenendo un altissimo livello di preparazione con grande rispetto per il ruolo, la professione che rivestiva, il rispetto per i musicisti (“viva i musicisti” ce lo ha scritto più volte nelle mail che ci siamo scambiati).
Il suo repertorio ci è apparso nella sua grandissima varietà sia di generi che di lingue. Dall’esordio fino agli ultimi anni ha avuto talmente tante collaborazioni diverse che appena ci siamo messi ad ascoltare ci siamo accorti che ci aveva in qualche modo stregati. Pur essendo un interprete, se non in un paio di canzoni scritte di suo pugno, abbiamo scelto di seguire il filo della sua voce piuttosto degli autori che aveva dietro. Alcuni brani esistono cantati anche da altre cantanti, Mina in primis, e per quanto sempre di grande spessore a noi suonava meglio Jula per quell’intenzione così frontale nel canto senza troppi fronzoli più incentrato sul condividere emozione che non regalarle. Inoltre, Jula de Palma è un personaggio che trovo affine a Sabrina, per molteplici ragioni: il loro modo di cantare, di comunicare, il loro percorso di vita che, seppur naturalmente molto differente, ha dei punti importanti in comune. Di fatto tutto iniziò quando un giorno, ipotizzando un suo ritorno come cantante, le dissi “Tu dovresti cantare le canzoni di Jula de Palma” …».
Dal cinema al “jazz”… esiste un leitmotiv che lega assieme tutto il percorso di questa grande donna della canzone, secondo voi?
«Credo che Jula de Palma abbia innanzitutto cercato di rendere giustizia alla canzone italiana contaminandola col jazz, il blues, la bossanova senza dimenticare il lato più “pop”. Il suo personaggio ebbe un grande successo e, come molti cantanti in voga all’epoca, si prestò sia alla televisione che al cinema, ma non credo recitare fosse una sua priorità. La cosa che mi ha colpito di Jula è stata la grande naturalezza e leggerezza con cui canta i brani più vicini al jazz e allo swing. Spesso i cantanti mi trasmettono dell’autocompiacimento che mi distrae dalle loro effettive capacità interpretative e se di percorso vogliamo parlare credo sia il percorso di chi ha cercato di portare la qualità e la bellezza a tutti con leggerezza e pure simpatia! E ci teniamo a ricordare che la sua carriera fu longeva, nonostante la sua decisione di scomparire dalle scene ancora giovane. Debuttò nel 1949 e fu sulla cresta dell’onda fino al 1974, quando decise di trasferirsi in Canada con la famiglia, dove vive ancora oggi».
Tu personalmente come vedi la vocalità e le liriche della De Palma nella voce di Sabrina Rocchi?
«Jula ha cantato talmente tante cose nella sua carriera che abbiamo potuto scegliere i brani il più possibile vicini alla sensibilità e personalità di Sabrina. I temi delle canzoni di quegli anni spesso hanno a che fare con l’amore e tutti i suoi molteplici intrecci e già questo ci è apparso come un punto comune su cui poter dare la nostra visione oggi. L’amore non ha tempo, l’amore è di tutti e per tutti. La voce di Jula è inimitabile, enorme, naturale, sensuale, frontale (mi fermo che poi gli elenchi sono noiosi). Sabrina si è messa in discussione riprendendo a studiare dopo essere stata tanto tempo ferma ed è riuscita a trovare il suo suono senza imitare Jula. Così come per gli arrangiamenti, anche per la voce abbiamo preferito stare a rispettosa distanza dai riferimenti originali per cercare una nostra via. Abbiamo mantenuto sempre le tonalità originali dei brani, segno che Sabrina poteva sentirsi a suo agio nel dare la propria interpretazione».
E parlando dei suoni di questo disco? Quanto futuro avete scelto di metterci dentro?
Quando penso alla musica del futuro mi viene sempre in mente quella scena di Guerre Stellari dove c’è quella band di alieni che suona un brano jazz-swing. Il futuro è intorno alla musica non nella musica. Mi ha sempre incuriosito questa cosa per cui in realtà la musica si evolve molto più lentamente di altro. Al massimo si contamina, si sporca, ma poi torna sempre un po’ indietro per non perdere il filo da dove ha origine. La musica è un linguaggio che suscita emozioni, che parla a chi ascolta. Di questi tempi è utile ricordare che per il futuro non dobbiamo perdere la necessità di pretendere che ogni generazione abbia la sua musica, vecchia o nuova che sia, in sintonia con quello che ci accade intorno, che diventi la colonna sonora della nostra vita senza che nessuna macchina ci condizioni nella scelta, semmai che ci aiuti a scovare quello che cerchiamo senza schiacciarci in algoritmi ma anzi stimolando la nostra curiosità. Noi abbiamo semplicemente giocato con la linea spazio-temporale anche in virtù del fatto che certi generi e sonorità stanno facendo il giro mescolandosi con il presente e quindi generando un ipotetico quanto inaspettato futuro. Questa sorta di evoluzione che fa due passi avanti e tre indietro ci permette di tornare alla funzione che credo primaria nella musica: che sappia raccontare di noi. In questo disco ho certamente messo dentro i miei ascolti anche quando sembravano molto distanti dal brano originale che magari era stato scritto 60 anni fa. Curioso, infatti, è stato rendersi conto di aver fatto un arrangiamento quasi anni ’80 su un brano degli anni 50 senza spostare il punto originario della scrittura, oppure ispirarsi al minimalismo di Mark Hollis o persino ai Radiohead, che però buttati dentro a quel mondo hanno generato combinazioni di suoni e armonie ancora più inaspettate. Poi quando torniamo a casa mettiamo su un vinile di Count Basie per il puro divertimento di ascoltare i classici con quel suono così romantico della grande orchestra ripresa con un microfono come si faceva un tempo. Potrebbe essere una svolta per il futuro registrare tutto in mono, soprattutto se consideriamo come viene ascoltata la musica dai device di oggi, chissà».