Nel trentennale della scomparsa del grande drammaturgo-attore-poeta napoletano, il Teatro Augusteo rende omaggio a Eduardo De Filippo con quattro atti unici riuniti sotto il titolo Eduardo al Kursaal, per la regia di Armando Pugliese (repliche fino a dom. 8 Dic.).
Si tratta di una piccola antologia di intermezzi comici (Amicizia; LaVoce Del Padrone; Pericolosamente; La Vedova Allegra) scritti tra gli anni Trenta e Cinquanta per essere rappresentati al Cine-Teatro Kursaal dalla compagnia I De Filipppo (Eduardo, Peppino e Titina), durante le pause tra una proiezione e l’altra. In essi è già possibile riscontrare alcune tematiche caratteristiche della successiva produzione eduardiana maggiore (rapporti tra amici, amanti, artisti), anche se in definitiva la scrittura risente ancora di certi stereotipi tipici del teatro scarpettiano (fine atti volti in caciara, storpiature di nomi e caratteri, parodie di operette): puro intrattenimento. Ma si farebbe un torto a non riconoscere, in alcuni di essi, guizzi di genialità dati soprattutto da situazioni surreali e paradossali (vedasi Pericolosamente).
La regia di Pugliese tende evidentemente a restituire il senso e il fascino originario di queste pièces, proiettando il tutto in un’atmosfera da avanspettacolo stile belle époque – con tanto di intermezzi di macchiette e presentatori scalcagnati a fare da cornice – senza la presunzione di voler dare alcuna visione cervellotica o connotazione particolarmente originale al tutto. Anche le scene e i costumi di Andrea Taddei, il disegno luci di Valerio Tiberi e le musiche di Paolo Coletta vanno nel senso di restituire le atmosfere originarie di un tipo di spettacolo affascinantemente rétro. Il problema è che il contesto in cui questi testi furono originariamente messi in scena è irrimediabilmente scomparso e il rischio è di rappresentare una sorta di nostalgico folklore partenopeo, piuttosto che pezzi di bravura comica sempreverdi. Anche gli interpreti sembrano non sempre convinti e convincenti: a cominciare dal pur bravo Francesco Paolantoni, forse troppo ridimensionato rispetto alle sue effettive capacità; ma anche Mariangela D’Abbraccio, brava ma priva di guizzi comici personali. Vera rivelazione Tonino Taiuti, l’unico che sembra veramente in tono con un contesto di tipico teatro di tradizione. Lo spettacolo è certamente godibile – la seconda parte più della prima -, ma a tratti troppo urlato, troppo in cerca di un effetto comico che nascerebbe comunque dalla situazione.
Si può vedere.