«Nel libro lancio un messaggio di speranza anche se bisogna convivere con la malattia»
«La vita non mi ha disilluso! Di anno in anno la trovo invece più vera, più desiderabile e più misteriosa….La vita come mezzo della conoscenza e con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere!» F. Nietzsche
Da qualche giorno è disponibile l’autobiografia di Francesca Neri dal titolo Come carne viva, Ed. Rizzoli, pag.204.
La giovane Francesca, un’adolescente come tante altre, se non fornita da Madre Natura di una bellezza delicata e struggente, abbandona la sua città natale Trieste per trasferirsi a Roma. La sua famiglia vuole per lei un futuro di avvocato ma, come spesso accade, i suoi interessi sono diversi e si sente attratta dal cinema. Studia e diventa l’attrice che tutti noi conosciamo. Si lega sentimentalmente a Claudio Amendola e diventa madre di Rocco. Inizia una sfida con se stessa per essere sempre più all’altezza del ruolo per un prossimo film, per competere in un premio, per sfilare spavalda e sicura sul red carpet dei numerosi festival ai quali partecipa. Ma ecco che un giorno viene colpita da una malattia cronica invalidante, la cistite interstiziale che la costringe a riprogrammare la sua vita e a riflettere su se stessa. Finalmente, dopo quasi cinque anni, Francesca rinasce e sente il bisogno di scrivere per poter aiutare anche altre persone a guarire nel corpo e nell’anima. Ora Francesca non ha più bisogno di dimostrare a nessuno il suo valore, ora sa che è una donna libera dal giudizio degli altri, ora sa chi è e cosa desidera dalla vita la vera Francesca Neri.
Noi di Maydreams abbiamo partecipato ad un incontro in streaming con l’autrice organizzato dalle librerie UBIK.
Durante la presentazione è stato detto che il vero protagonista del libro è il corpo e basta guardare l’indice del libro per scoprirlo. Infatti ciascun capitolo riguarda una parte del corpo che fa da filo conduttore. Per un’attrice il corpo è la prima forma di espressione scenica ed è singolare scoprire come questo corpo sia stato lo strumento per conoscersi meglio e farsi conoscere da un pubblico che ha sempre apprezzato le capacità recitative di Francesca Neri.
A questo proposito interviene l’autrice: «Sono stata ferma per quasi cinque anni e voi potete comprendere il mio stato d’animo dal momento che la pandemia ha costretto tutti a restare a casa e ad interrogarsi sul futuro. Tutto quello che mi è capitato è stato salvifico e voglio ribadire che il libro parla di una rinascita e non solo della malattia. Molti mi ringraziano per aver portato alla luce queste problematiche legate ad una patologia difficile da gestire e da diagnosticare in quanto i suoi sintomi sono comuni ad altre malattie. Spesso non si viene creduti dalle stesse persone che appartengono alla tua famiglia ed iniziano quelle interminabili trafile dai medici che ti prescrivono di tutto. Nel libro lancio un messaggio di speranza anche se bisogna convivere con la malattia. Mi sono guardata dentro per affrontarla ed oggi posso dire che l’unica religione in cui credo è quella del mio corpo perché finalmente conosco i miei limiti. Ho sempre saputo di farcela, ho avuto sempre dentro di me questa certezza».
Nel libro fai riferimento al personaggio di Bess Mc Neill del film Le onde del destino di Lars von Trier. Perché?
«Ho sempre amato il regista ed i suoi film, in particolare quello in cui compare appunto il personaggio di Bess che ha trovato la sua percezione emotiva repressa dalla fragilità. Bess ama incondizionatamente ed è disposta a fare qualsiasi cosa per amore ma resta sempre pulita, candida. Nonostante le ferite dell’anima ha sempre la voglia di dare e di darsi. Anch’io morirei per amore “.
Come nostra abitudine trascriviamo l’inizio del libro: «Mi sono affannata una vita per cercare di capire chi ero, per trovarmi faccia a faccia con me stessa nel momento esatto in cui non ero e non facevo. Nel momento in cui mi limitavo ad esistere-o meglio a resistere. Prima era tutto un andare. Anni di viaggi, di stress, di azione, di creatività, sofferenza , passione, di paziente costruzione dell’indipendenza, di forsennata ricerca dell’amore e della libertà. Anni dedicati al costante tentativo di esserci, di scoprirmi, di sentirmi vista, riconosciuta, compresa. Anni in cui ho mentito a me stessa per il semplice gusto della sfida, per dimostrarmi di essere in grado di andare oltre i miei limiti, perché dire no sembrava folle, persino per me. Così ho detto sì anche se sapevo che c’era un prezzo da pagare- un prezzo emotivo».
Nel libro parli diffusamente dei tuoi rapporti più intimi, in particolare, con tua madre e tuo figlio. Hai usato parole forti nei confronti di tua madre, perché?
«Da quando ho iniziato a scrivere mi sono ripromessa di dire sempre la verità. Il libro non avrebbe avuto un senso se non raccontavo la verità. Mi è mancato l’affetto di mia madre ed è una mancanza che avverto anche oggi e niente può cambiare questa situazione. Tutto quello che racconto è vero. Sono stata onesta».
Chi legge il libro si rispecchia nella tua vita. Alcuni punti fanno venire in mente La montagna incantata di Mann.
«Forse non è un caso . Ho portato Mann all’esame di maturità (N.d.r. Ride)».
Ci sembra di capire che la famiglia per te è tutto. Quale è la tua famiglia preferita: quella cinematografica, quella di quando eri ragazza, quella composta da tuo marito e tuo figlio?
«L’unica vera e sola famiglia è quella che ti costruisci tu. Nella mia famiglia di origine mi sono sempre sentita un’esule. Mio padre era un profugo istriano . La mia nonna paterna è stata la persona che mi ha fatto sentire amata. Mia madre no. Non ho avuto un’infanzia difficile ma mi è mancata la condivisione. Mi sentivo sola. Ogni film, se vogliamo, è una famiglia e quando finivano le riprese per me era terribile. Claudio e Rocco oggi sono la mia famiglia. Ho sempre paura di sbagliare e di essere inadeguata ma forse ho colmato la mia mancanza di affetto».
Hai affrontato la malattia con grande coraggio. Possiamo dire che se ne può venir fuori?
«Sì, certamente, basta saperci convivere. Ho trovato alla fine medici capaci che mi hanno dato come cura trasfusioni di ozono. Un urologo, che ha letto il libro, mi ha fatto dei complimenti perché ho saputo descrivere bene la malattia ed i suoi sintomi».
A quale tipo di lettore si rivolge il tuo libro?
«Non saprei ma dico tutti. Io racconto umilmente la mia storia e se posso aiutare altre persone sono felice. Nel condividere questo percorso mi piacerebbe che il lettore si identificasse con la mia rinascita. Io non ho mai perso la speranza. Bisogna parlarne senza avere vergogna non solo della malattia ma anche delle proprie fragilità».
Tu definisci il tuo libro un’autobiografia, con grande senso dell’ironia. Rifaresti tutte le cose che hai fatto nella tua vita?
«Sì, le mie sfide erano alte e spesso mi sentivo come svuotata. Oggi so che se farò qualcosa come attrice lo farò con persone con le quali mi trovo a mio agio. Oggi mi ha chiamato Pupi Avati con il quale ho girato tre film ((N. D. r. La cena per farli conoscere 2007- il papà di Giovanna 2008- Una sconfinata giovinezza 2010) che non immaginava quanto io soffrissi sul set. Devo dire che il cinema non mi manca e le mie capacità creative le ho riversate sulla scrittura. Avevo una tale paura di nuocere agli altri che ho finito per nuocere a me stessa. È vero, il corpo è un libro aperto, una cartina geografica».
La frase di Nietzsche che fa da esergo al libro mi fa dire che il tuo scritto è carnale. Cosa hai scoperto che vuoi condividere con i lettori?
«Più conosci te stesso e più conosci gli altri di cui devi capire le fragilità. Ho letto molte poesie del premio Nobel Louise Gluck .Puoi essere felice con poco e non te ne rendi quasi mai conto».
Questo libro è l’elaborazione di un lutto ed un’epifania. Cosa ha generato queste due cose?
«Le piccole cose, anche quelle della quotidianità. Io sono sedotta dalla bontà della gente. Dobbiamo prenderci più cura di noi e degli altri. Nel mio piccolo ho avuto sempre rispetto degli altri e soprattutto del loro dolore. Oggi la scuola non dà più un’educazione sentimentale».
Cosa ha rappresentato per te scrivere questo libro?
«Scrivere è stato l’ ultimo atto terapeutico di un lungo percorso. All’inizio non riuscivo a concentrarmi, registravo le cose che pensavo alla rinfusa, poi ho messo nero su bianco e ho iniziato a rivelarmi e ad andare oltre. Sono legata a questo libro perché racconto di me fino in fondo».