Con Le Cose Belle sta girando in tutta Italia con uno spettacolo in cui porta on stage la sua musica, qualche chicca del padre Ivan e cover del passato cantautorale italiano e non. Filippo Graziani, poco più che trentenne è autore, chitarrista e cantante di genuino talento, che non si sottrae alla grandezza del papà Ivan, scomparso negli anni 90 ma ancora nel cuore di migliaia di ascoltatori “indie”. Eh sì, perché se era anticonformista e indipendente il padre, lo è tanto più il figlio. Basta una veloce sbirciata alla sua bio per capire che non ha mai dormito sugli allori, Filippo: si è fatto le ossa nei locali di New York dove non era nessuno, nemmeno per quel cognome che portava, è entrato a Sanremo giovani già nei primi anni duemila, poi ci ha riprovato con maggior successo quest’anno. E ora dal vivo porta al pubblico il rock new wave e malinconico di un disco, Le Cose Belle, che è a metà strada tra i Joy Division e il cantautorato underground italiano. Un orgoglio ma anche un piacere per i più attenti che lo seguono.
Cosa è cambiato con il Sanremo di quest’anno per la tua carriera?
«La cosa buona è che ho più visibilità per un certo tipo di mercato che non mi conosceva prima. O magari alcuni che avevano sentito il mio nome per il tour che avevo fatto come tributo a mio padre ora mi seguono assieme a quelli a cui interessa la mia musica. È molto misto il pubblico ora.»
Come stai affrontando questo nuovo tipo di popolarità?
«In molti mi riconoscono, sono felice e sono fortunato a poter suonare dal vivo con la tipica gobba da new waver ma anche sforare in ambiti più rock. Sto già pensando al prossimo passo. Non andrò lontano da questo formato ma cercherò di arricchire il repertorio con altre sonorità. Forse mi spingerò a fonder il folk con l’elettronica.»
Parte di questo nuovo corso sono anche delle tue foto che ti ritraggono in veste di poster boy…
«Ah dici? Vuoi dire che ho futuro per carriera da produttore porno? No, in realtà mi piace questo aspetto della mia persona, mi sento a mio agio a far vedere come sono fatto. Lavoro molto col fisico, faccio ancora boxe quando ho tempo. E non ho problemi a farmi ritrarre a petto nudo.»
Cosa stai scoprendo dell’Italia che non conoscevi?
«Ho fatto delle esperienze all’estero è vero, ma anche in Italia ho già girato molto. Devo dire che ogni volta che viaggi scopri cose nuove, nei paesini che nessuno conosce, ci sono delle cose bellissime. Alcuni paesaggi mi ricordano il Colorado, molti vanno in Trentino, ma andate a riscoprire il Chietino per esempio.»
Tu nonostante tutto resti a vivere vicino Rimini. Come ti senti in una dimensione piccola?
«Ora mi trattano come quello che diritto è entrato nella lega dei cantanti, ma non è cambiato molto, mi dicono che mi hanno visto in tv o cose così. Resto molto legato alla mia terra d’origine anche in questi periodi di grandi giri promozionali. Magari poi deciderò di prendere dei mesi sabbatici e andare via, ma ci tornerò.»
Sei spesso a Milano, che è anche una città che significa qualcosa per te. Cosa ti lega?
«Ho fatto i primi passi nella musica a Milano e gran parte di questo disco è nato quando ero in città e non avevo una lira. Mi sono ritrovato con una chitarra senza sapere come andare avanti e ho composto le cose più forti dell’album.»
È una frustrazione a cui reagisci con uno stile prepotente. Cosa pensi di chi, giovane come te, invece rinuncia a lottare?
«Mi sono reso conto che il lavoro e l’impegno non necessariamente vengono premiati. E quindi non mi sento di colpevolizzare chi se ne vuole andare o chi rinuncia. È un momento davvero difficile, sembra un paese senza senso.»
Che idea ti sei fatto della crisi?
«Lavorando nella musica lo percepisci in prima persona. Si preferisce andare a cena piuttosto che comprare un disco o andare a un concerto, che costano ancora di meno che uscire nei locali. Non capisco alcune cose. Tutti hanno Sky o il telefonino di ultima generazione, ma gli artisti non guadagnano perché forse è passato il messaggio che tramite la tv o internet la musica debba essere gratuita. Se non si interviene in questo mondo, il business musicale scomparirà e diventerà solo un hobby, e in questo caso il pericolo è che tutto venga fatto male. Non si investirà più ed è molto triste tutto ciò. La musica nei periodi di crisi ha sempre tirato fuori quello che di più bello e intenso c’è nell’uomo e noi la ripaghiamo così?»
E come si spiega la moltiplicazione delle proposte?
«Quella è una storia ancora più complicata. Tutti facciamo fatica a stare al passo con quello che esce. Ma ancora una volta la massa segue i dettami dei trend imperanti. Anche chi va a cercare su Youtube ha un atteggiamento molto safe, capisci cosa intendo? Non si va a scovare l’artista per se stessi, ma quello che piace agli altri. Eppure con tutti questi nuovi mezzi tutti potrebbero avere una cultura immensa in materia di musica. Si gioca facile e invece io dico: chi non si conosce va ascoltato perché è una figata.»
La nicchia è bella?
«Il mondo va avanti grazie alla curiosità, i ragazzini per primi dovrebbero spingersi nella ricerca. Se un artista piace a pochi, magari tocca proprio il cuore di quei pochi ed è bellissimo.»