Al Festival Mann, la musica ha incontrato l’arte. Tenutosi presso la sala del Toro Farnese al Museo Archeologico di Napoli, l’incontro tra due musicisti straordinari della musica italiana.
L’occasione è quella del primo Festival Internazionale organizzato da un museo che autonomamente, promuove la valorizzazione dei Beni Culturali. Sette giorni tra musica, danza, teatro insieme al cinema, all’arte, alle nuove tecnologie. Questa volta, i protagonisti sono stati Niccolò Fabi e Paolo Benvegnù, in un momento dove i due creatori della musica, hanno sviluppato un’insolita lezione di giornalismo. Un dialogo fresco e di stimolante interesse, sul ruolo dell’artista, sulla ricerca a superare i propri limiti, rinnovandosi, in una crescita diretta verso nuovi obiettivi. In uno scenario dove l’esplosione scultorea incanta gli occhi ed arricchisce l’anima, il suono della voce di Niccolò Fabi, ha raccolto la platea, accarezzandone il cuore. «Il passato da solo è stato enorme e non lo dico ovviamente per pietismo, non sto parlando perché nessuno mi voleva accanto a sé, ma per gusto, probabilmente genetico». Il cantautore romano, a vent’anni dall’esordio con “Capelli” ed il successo di “Lasciarsi un giorno a Roma”, tratto dal secondo album nel 1998, ha messo a nudo nella descrizione del suo ingegno, il filo conduttore, l’incastro, tra l’indole e l’ispirazione alla musica. Una ricerca sempre più rinvigorita nel mettere insieme la creatività al contenuto sociale, leitmotiv della sua progettazione musicale. «Ho iniziato a scrivere parole molto dopo, mi sono approcciato principalmente alla musica. La passione primaria è stata la musica, poi è venuta la scoperta delle parole, del modo in cui si sarebbero combinate insieme ad essa. Però l’influenza ambientale, delle condizioni familiari, oltre a quelle genetiche, sono state determinanti, per trovare nella complementarietà della leggerezza e del peso (che ritengo, siano due aspetti fondamentali), la maniera di rappresentarli in musica, un po’ come mettere a confronto l’aspetto fisico con l’intelligenza».
È così che ha proseguito Niccolò, con toni semplici ed appassionanti, in uno scambio intenso con Benvegnù, dove l’alternanza di battute, hanno reso ancor più vivace, il focus del colloquio.
Le sfumature emozionanti, sono culminate in modo straordinario, nell’accordo di “Filosofia Agricola”. “Verranno giorni limpidi come i primi di quest’anno, ritorneremo liberi come quelli che non sanno. E’ chiaro che non vincerò contro i cumuli di memoria e il vento che li agita, sarà l’ultimo ad arrendersi. E poi sarà bellissimo di te dipingermi l’interno, semmai potessi scegliere, io mi addormenterei d’inverno”. Un atto poetico, descritto in note, in cui la libertà artistica trova la sua più intima esternazione. La mano che tocca la chitarra fa danzare ogni più microscopico sentimento con “Costruire” un brano che Niccolò ha scelto non in modo casuale, per salutare, quasi in un abbraccio, il pubblico presente in sala. “Come l’ultimo bicchiere, l’ultima visione, un tramonto solitario, l’inchino poi il sipario”.
Momento di commozione per chi ha riflettuto, cantato, sorriso e gioito insieme al cantautore in un pomeriggio di riscoperta e di bellezza.