Per certi versi Fedez è l’anti-rapper per eccellenza che ha sfornato il panorama musicale italiano in questo 2013. È vero, è popolarissimo tra i giovani e giovanissimi (800mila like su Facebook, per dirne una) e il suo nuovo singolo Nuvole di Fango ha raggiunto in pochi giorni 2 milioni di views su Youtube. Ma raramente si trova un hip hop star che ammette di non essere di matrice rap ma pop e di avere dubbi sul suo stesso talento. Dove sono finiti i discorsi spocchiosi dei mitici rapper di una volta?
Fedez, cosa ci vuole per diventare un rivelazione del rap italiano oggi?
«Io sto molto attento a tutto quello che mi circonda, al business, a come vengo presentato. Può essere un fattore, anche abbinato al fatto che non mi ritengo super talentuoso. Non so se ho talento, scrivo bene ma il talento è indefinibile. È bello essere un trend setter ma è bello anche arrivare a chi mi ascolta, Marracash è un trend setter che scrive meglio di me ma vende meno.»
Ah qui ricadi in una cosa tipica dei rapper, l’antagonismo…
«Ma i parlo di lui perché nelle interviste degli altri sembra sempre che sia io il male del mondo. Anche su youtube vengo attaccato molto, ma non penso che sia un metro di paragone perché non ha valore critico. Io scrivo semplicemente per me, difficile farmi cambiare. Ho una matrice pià pop che rap e questo lo si sente e per questo alcuni ambienti mi tengono a distanza.»
Tu però essendo di immagine gradevole hai i media dalla tua parte, non credi?
«Ma non è vero! Io sono andato in tutto 4 volte in tv e solo perché facevo talmente tanto pubblico negli spettacoli che non potevano ignorarmi. Nel dvd che è allegato alla riedizione del disco ho cercato di sintetizzare tutto quello che è successo in questo anno incredibile. A un certo punto facevamo più spettatori all’aperto di tanti artisti che erano firmati con delle major. Io all’inizio ho scelto di andare in una realtà piccola perché mi sono detto: se voglio essere un numero uno non posso andare da chi gestisce i numeri uno.»
Così giovane e così orientato al business?
«Io controllo tutto, dove vendo, perché vendo di meno, cosa dicono di me. Mi piace gestire anche il design e il merchandising, così per questo disco ho creato anche un package pop up e una serie di contenuti che potessero giustificare l’acquisto, oltre agli inediti. Cerco di seguire il più possibile il lato commerciale della mia carriera perché non voglio essere pilotato.»
Ti impressiona essere un teen idol con tanti giovanissimi che ti seguono?
«Non mi vergogno, non sono come gli altri rapper italiani che dicono che il loro pubblico arriva fino ai 30 anni. Io lo so benissimo che oltre i 20 non ci sono molte persone che mi seguono. Ma anche i Beatles hanno iniziato così, con tutto il rispetto. Anche Cremonini in Italia è stato un fenomeno teen con i Lunapop e poi è diventato quello che è . Però mi fa piacere vedere che intorno a me c’è interessa, anche da Sanremo, anche se poi non mi hanno chiamato. In ogni caso non ci sarebbe stato tempo perché quello è un programma che può crearti e può distruggerti quindi meglio avere tempo per farlo bene.»
Dialoghi spesso col tuo pubblico?
«Cerco di rivolgermi a loro, glielo dico ad esempio che internet regala tanta libertà ma rischia di diventare una reclusione. Cercate di uscire di frequentare posti reali, l’interazione è molto importante. Se li sprono sono svegli, sono riuscito anche a parlare loro di politica che solitamente non è una cosa interessante. Alle Iene ho detto delle cose sulle droghe, sulle mie esperienze con le droghe sintetiche e ho detto che sono cose che mi hanno fatto molto male.»
Cosa manca a questa generazione?
«Punti di aggregazione, perché ci sono pochi divertimento in giro, fino q qualche anno fa si usciva di più. Poi sono conscio che ogni generazione si sente peggio di quella precedente, ci sono tante difficoltà ma anche opportunità se le sai intravedere. Certamente no sono uno di quelli che vede il futuro roseo, la speranza a volte viene a mancare, nei miei testi queste cose le dico.»
Nel disco ci sono due collaborazioni importanti di due ambienti completamente diversi. Ce ne parli?
«Con il collettivo Reset mi sono incontrato grazie ad amicizie in comune loro si sono inventati questo genere Turbo Funk qualche anno fa, una cosa che fanno solo loro sono anche quelli che hanno fatto delle serate pazzesche a Milano a parco Sempione e al Sottomarino Giallo. Sono stati con me a registrare perché hanno dei ritmi che mi piacciono, non sono solita cassa dritta e basta. Con Gianna Nannini invece avevo degli amici in comune e mi aveva colpito che lei mi mandava a dire delle cose. Come il fatto che avesse acquistato il mio primo cd con il solito pregiudizio e poi era rimasta proprio sorpresa e mi fece sapere che mi apprezzava. È una mitica, estroversa cerca di essere sempre al passo e non si sente un “maestro” sono contento del pezzo Nuvole di Fango perché io non sono puramente hip hop ed è quello che voglio fare.»
Vuoi conquistarti un posto nella cultura popolare italiana?
«Non credo che ci sia una distinzione tra chi crede di fare una musica dal valore culturale e chi fa musica come la mia. Il termine cultura non determina una proposta più valida di un’altra. Io so scrivere, ma credo che Marracash scriva meglio di me anche se vende di meno.
Parli del tuo legame col pop ma la tua bio indica soprattutto il punk come tua formazione.
Sì perché io sono stato preso dalla mania dei Blink 182, quando hanno azzerato le boyband con quel video dove imitavano prendendoli in giro i Backstreet Boys che scendevano dall’aereo. Quello è stato il momento che mi sono attaccato al genere, a quel non prendersi sul serio e mi sono andato a sentire alcune band che oggi non conosce nessuno, i Peter Punk, i Violent Tomatoes, ero abbonato a una rivista italiana che metteva tutte queste canzoni in compilation per i suoi lettori. Ho collaborato anche con i Punkreas, loro sono rimasti idealisti e ci credono ancora io l’idealismo l’ho perso.»
Suggeriresti a un emergente di farsi pubblicità autopromuovendosi su internet?
«Certo perché se ci sono riuscito io lo possono fare tutti. Ci vuoe culo ma ti devi sbattere e con la testa e la dedizione ce la farai. Io mi sono fatto notare per dei video che ho messo online, mi sono messo d’impegno me li giravo e montavo io nella mia casa a Rozzano. Eppure mi hanno visto, non ho fatto Sanremo e non sono uscito da un talent.»
Cosa ti piacerebbe fare per la tua carriera?
«Duettare con Malika Ayane. Ho conosciuto suo marito che è un regista ma lei mai. Lui doveva dirigere il video di Nuvole di Fango ma poi non ci siamo accordati. Per il resto sono già fortunato ad avere Dargen D’amico nel disco che è un pazzo ma un grande artista. Per me lui è il De Andrè moderno, forse troppo difficile per il grande pubblico.»
La tua svolta pop passa anche dal video che più pop non si può con Alfonso Signorini. Come lo giudichi a posteriori?
«È stato un modo per esprimere quello che la canzone voleva dire, ovvero mettiamoci nelle mani di uno che ci salva da tutte le schifezze. Era un’ironia che forse non è stata capita. L’unico ad averla afferrata è stata proprio Alfonso Signorini che è stato furbo ad accettare di essere nel video. Invece Elio non ha più partecipato al pezzo. Ha detto che aveva accettato solo per far contento il figlio di Cesareo, il chitarrista.»
Le polemiche ti creano “hating” in Rete, te ne preoccupi?
«Ancora è presto per capire se l’hating fa bene o male a un artista. Se vedo Lady Gaga forse la sta danneggiando. Ma forse ci vorrà del tempo per capire. Fabrizio Corona ha costruito un impero sull’odio degli altri. E poi quando intervistano i fondamentalisti del rap e dicono che un disco è bello, di solito non vende quindi è difficile capire le regole.»