Enrico Ianniello è l’autore di Alfredino, laggiù (Ed.Feltrinelli-pag.272), un nuovo romanzo di commovente dolcezza, a quarant’anni dalla tragedia di Vermicino che vide protagonista il piccolo Alfredino Rampi.
È fine maggio e Marco e Aurora compiono dieci anni. Marco cade accidentalmente su una recinzione, procurandosi un taglio ad una gamba. ”Papà, stai con me” sussurra Marco all’orecchio di Andrea che corre e lo prende in braccio. Basta questa richiesta di aiuto per riportare alla memoria la vicenda di Alfredino che diventa quasi un’ossessione. Andrea non può fare altro che cercare disperatamente di salvare il bambino. La relazione spazio-tempo si dilata e a guidarlo nel pozzo c’è la stella Alfecca Meridiana e tanti altri personaggi: il vecchio punk di paese privo di un braccio, una giovane organista, un comico malinconico e tanti altri. Alfredino conduce Andrea nel suo mondo magico tra realtà e fantasia, tra sogno e meraviglia.
Enrico Ianniello si riconferma con questo romanzo un fine affabulatore e riconferma le proprie doti letterarie dopo i romanzi: La vita prodigiosa di Isidoro Sifflottin (2015 Premio Campiello Opera Prima), Appocundria (2016), La compagnia delle illusioni (2019)
Noi di Mydreams abbiamo seguito per Connessioni con la partecipazione delle librerie UBIK ,un incontro streaming con l’autore che si è collegato da Barcellona durante le repliche, in lingua spagnola, della commedia Filumena Marturano di Eduardo.
Nel 1981 ci fu la tragedia della morte di Alfredino Rampi, caduto accidentalmente in un pozzo. Tutta l’Italia rimase incollata alla TV e persino il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, si recò a Vermicino per seguire le fasi del salvataggio del bambino e portare conforto alla famiglia. Perché Alfredino? Perché ricordare questo avvenimento doloroso?
«Tengo a precisare che il libro non racconta la vicenda accaduta ad Alfredino. Essa è solo un pretesto per dare vita ad un mondo onirico perché quel bambino è dentro di noi. Tutti lo ricordiamo ma non lo abbiamo mai visto, fatta eccezione per quella foto che ce lo mostra sorridente in canottiera. Anche Isidoro, il protagonista del mio primo romanzo veste una canottiera ed in un certo qual modo c’è l’inizio e la fine di una storia».
Numerosi sono i personaggi che compaiono nel libro, soprattutto nella seconda parte. Forse quello più simpatico è il mago Franz con la sua risata. Una bella risata può mascherare il dolore e bisogna diffidare sempre di chi non sa ridere. Sei d’accordo?
«Nelle vesti del mago Franz ho immaginato il grande Gigi Proietti. Ridere è fondamentale. Con la una risata puoi smontare litigi, depotenziare situazioni difficili ed imbarazzanti, sorprendere l’interlocutore. Attraverso una risata puoi smuovere tanto in una persona. Mi piacerebbe disegnare una smorfia sul viso della gente. Bisogna usare la risata per scendere fino in fondo nella coscienza. Eduardo parte dalla risata per arrivare al pianto. La funzione del mago Franz è quella di ipnotizzare Andrea tenendolo sospeso tra realtà e sogno».
Hai mai pensato di portare i tuoi libri a teatro? Quale personaggio potrebbe essere il protagonista di una pièce teatrale?
«Forse Isidoro. A teatro mi è capitato in un reading appunto di leggere qualche pagina dei miei romanzi ma nulla di più perché non voglio mischiare i miei due mestieri ovvero quello di attore e quello di scrittore. Sarebbe per me un onore se qualcun altro attingesse dai miei testi per realizzare uno spettacolo teatrale».
Si piangerà molto leggendo questa storia? Quanto è stato difficile per te cercare un input per la commozione?
«Giuseppe Montesano, mio grande amico e faro intellettuale, mi ha detto che in questo romanzo non mi sono nascosto e sono stato “senza pudore”. È vero, non ho avuto paura di cadere quasi nel patetico. Questo forse è il mio romanzo più autobiografico»”.
La triste vicenda di Alfredino Rampi ha dato vita alla spettacolarizzazione del dolore. Vale anche per te questa affermazione?
«Ribadisco che nel libro parlo brevemente di questa tragedia. Noi ragioniamo in questo modo: voglio disfarmi di tanto dolore con l’odiens che si traduce in termini economici in soldi. Giorgio Manganelli diceva: i poveri sono le brioches dell’anima. E siamo tutti contenti. Andrea no, vuole guardare fino in fondo quel dolore in modo catartico».
Come riesci ad affrontare come padre una tragedia del genere?
«Io sono padre di due figli, uno di 17 anni e l’altro di 5. Ho avuto più fatica con il piccolo ad affrontare il tema della morte forse perché sono diventato padre per la seconda volta a 45 anni ed è cambiata la mia visione del mondo. Mi sono chiesto: come faccio a trasferire a mio figlio la capacità di condividere il dolore degli altri? I figli degli altri sono anche i nostri figli ed in questo mi è venuto in soccorso Alfredino».
Nella vita a volte è difficile andare “laggiù” perché abbiamo fretta e ci perdiamo le cose belle della vita. Chi ci può aiutare?
«I libri e la musica. A volte mi sembra di galleggiare sul nulla e ho bisogno di interessarmi a temi profondi. Oggi nessuno parla più di INTROSPEZIONE, siamo tutti estroflessi sui social dove postiamo foto, frasi ad effetto che mancano appunto della introspezione».
Cosa rappresenta la stella Alfecca Meridiana?
«La stella mi è servita a scopo narrativo nel senso di non dare un su o un giù. Il sistema di riferimento devono essere gli altri e le loro storie».
Hai avuto contatti con la Famiglia Rampi?
«No, perché il romanzo non è la storia di Alfredino Rampi. Antonio Moresco scrisse sulla vicenda un libro intitolato I maiali ma io non volevo cadere in questa trappola. Alfredino è dentro di me».