Palapartenope, Napoli, 18 marzo 2014. “L’anima vola” è il tour delle prime volte. E, soprattutto, è il concerto di un’anima sola. Tutto inizia con “Non fa niente ormai”: Elisa ha scelto di intraprendere questo viaggio in territori inesplorati partendo dai brani contenuti nel suo ultimo lavoro discografico. Eccola allora convincere il pubblico (e principalmente se stessa) grazie a “Un filo di seta negli abissi”, “Lontano da qui” e “Specchio riflesso”. Eccola mentre, pur avendo a disposizione enormi spazi, prende distanza dalla passerella e misura il palco inventandosi mura immaginarie da non attraversare.
Tutto inizia in sordina. Brano dopo brano però, l’energia aumenta e la presenza della cantante di Monfalcone occupa l’intero palazzetto. Il suo soffio vitale si unisce a quella di ogni singolo spettatore fino a trasformarsi ed esplodere grazie proprio a “L’anima vola”. Da qui sembrano quasi inutili le parole.
Con Elisa ci si perde in continui “Labirinti”: ogni brano porta con sé un tripudio di emozioni e permette allo spettatore di cucirsi addosso ogni singola nota.
Elisa offre al pubblico uno spettacolo in 5D, un concerto carico di luci e ombre, di cambi d’abito e di un megaschermo che a sua volta si divide in varie piccole finestre da cui ammirare lo spettacolo attraverso una miriade di prospettive che avvolgono simultaneamente pubblico e artisti.
Ma le installazioni sono solo il contorno di questa meraviglia: padrona assoluta resta la musica insieme ad Elisa che si denuda al pubblico cantando da sola al piano. Esegue “Dancing” quasi in un sussurro e ripropone “Ancora qui” e ricorda a tutti i milioni di miliardi di motivi per cui Ennio Morricone l’abbia scelta.
La friulana gioca con il pubblico e dialoga con gli spettatori a cui fa scegliere le canzoni a metà concerto: un metodo vecchio ma estremamente efficace per cercare di accontentare tutti e differenziare il tour tappa dopo tappa. A Napoli è la volta di un medley con “This Knot”, “Swan”, “The marriage” e “Feast for me”.
Elisa dimentica le parole di uno dei brani, ma non importa. La sua sincerità è disarmante e potrebbe cantare anche l’alfabeto, l’entusiasmo resterebbe alle stelle.
L’anima vola e congiunge tutti in un’anima sola. Un’anima cullata da “Heaven out of hell” e soprattutto da “Rock your soul” eseguita magistralmente grazie soprattutto al sorriso della cantante e delle sue meravigliose coriste, protagoniste al pari di Elisa durante l’intero concerto.
A precedere “Eppure sentire” ecco un discorso fuori campo sul primo articolo della Costituzione, una riflessione su “tutto ciò che l’Italia ha e tutto quello che non capisce di avere”. Elisa spiega così il motivo del ritorno alla lingua materna per questo nuovo lavoro: “un punto su cui si era sempre fermata e che poi, ironicamente, è diventato il suo punto di partenza”.
Si torna alla musica e alle esecuzioni magistrali de “Gli ostacoli del cuore” e “Ti vorrei sollevare”. Interpretazioni così complete che viene da chiedersi se sul serio siano brani nati in duo.
“Qualcosa che non c’è” e “Una poesia anche per te” vengono dedicate al pubblico in punta di piedi: facile capire perché Elisa ami semplicemente cantare più che intervallare i brani con inutili frasi fatte.
“Broken”, “Stay”, “Together” e “A Prayer” ci riportano indietro fino al lontano 1997: non si tratta però di un semplice tuffo nei ricordi, ma di reinterpretazioni che non smettono di stupire e meravigliare.
Fin dall’antichità ci si interroga sull’esistenza dell’anima, su questo famoso “soffio vitale” di cui tanto si ragiona ma che nessuno ha mai visto.
Ebbene, quando ieri, dopo oltre 30 brani, Elisa ha salutato il suo pubblico con “Cure me”, l’anima presente in ogni singola nota è stata chiaramente visibile negli sguardi di ogni singolo spettatore.
Energia, passioni, sentimenti: la cantante di Monfalcone, visibilmente emozionata, non riusciva a smettere di ammirare il suo pubblico. Viceversa, ogni singolo spettatore, ha goduto fino alla fine dell’intensità e del potere di quest’incredibile connessione. Un gioco di note, di sguardi e soprattutto … di anime!
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