La metafora della Luna come satellite romantico, malinconico e notturno appartiene da sempre in una certa misura all’universo di James Blunt. Il suo quarto album si chiama proprio Moon Landing, un approdo che i suoi promoter descrivono come un’introspezione: «Si guarda allo specchio e vede il ragazzo che era e l’uomo che è – e di come ha imparato a stare bene con quell’immagine, con tutti i pregi e i difetti. Parla di un ritorno alle origini e riscopre il potere della musica di comunicare emozioni direttamente e onestamente, senza troppi artifici o complicazioni».
L’album si apre con il dolce attacco di Face The Sun, che poi vira in territori più propri ai Coldplay, un osare con conferme per il cantante americano, che dal suo debutto nel 2004, ha avuto quattro numeri 1 in Inghilterra e vinto 2 BRIT’s, 2 Ivor Novello, 5 nomination ai Grammy. Ha venduto circa 17 milioni di album e 20 milioni di singoli in tutto il mondo e il tenore del nuovo disco tiene conto di questo “peso”. Quando in Bones dice «Non sono mai stato bellissimo. Non mi è mai piaciuto il suono della mia voce. Non ero figo da adolescente, non ho mai dormito, ma avevo tanti sogni» è sinceramente il suo ritratto.
Qualche anno fa fu al centro di una polemica che lo vedeva accusato di essere “promotore” della depressione confezionata ad arte per vendere. In effetti il suo straordinario appeal lo deve soprattutto a un songwriting che fa presa e piace in questo momento. E poi You’re Beautiful, il suo esordio multimilionario, è nei sondaggi online tra le 10 canzoni più apprezzate di sempre.
Ma il perché del titolo del nuovo disco lo spiega così: «C’è qualcosa di romantico, di malinconico e di solitario negli sbarchi lunari. Un nostalgico ricordo di qualcosa di importante che facciamo fatica a credere di avere raggiunto, una volta successo, e che per qualche triste ragione non possiamo raggiungere più – come il primo amore.»
Per Moon Landing ha voluto tornare a suonare … come lui. Nelle sessioni iniziali ha lavorato con un vero produttore/musicista – Martin Terefe, e queste registrazioni hanno un innegabile libertà nel loro suono. «Ho suonato un sacco l’ukulele, un piccolo strumento e fa sembrare me più grande. Ci siamo presi così bene che avremmo potuto facilmente fare un intero album insieme e anche di più». Ma poi James ha preferito togliere ulteriormente dei suoni – è tornato a Los Angeles a stare con la sua amica Carrie Fisher, come ha fatto per il primo album (il titolo “Back To Bedlam” è stato suggerito da lei, e la voce in “Goodbye My Lover” è stata registrata nel suo bagno). È tornato anche dal produttore Tom Rothrock con cui aveva esordito con Back To Bedlam. Bonfire Heart, il primo singolo del nuovo disco, è frutto di questo ripescaggio, dove gli strumenti vintage danno il sapore del già sentito, del Bluntiano per eccellenza, ed è un privilegio che tocca a pochi quello di essere riconoscibile. «Non sto cercando di dimostrare niente – dice lui – non ho cercato di indovinare il gusto del pubblico o di pensare troppo alle cose. Sono solo io che suono in un piccolo studio, io che guardo Tom attraverso il vetro, io che cerco di esprimere me stesso semplicemente e onestamente. Questo è l’album che avrei registrato, forse, se “Back To Bedlam” non avesse venduto niente».