Ieri sera, 25 novembre 2013, al teatro Augusteo di Napoli è stato presentato l’ultimo spettacolo di Franco Battiato: “Diwan – L’essenza del reale”. Il progetto, nato dalla collaborazione con il Parco della Musica di Roma e curato da Oscar Pizzo ha fatto viaggiare gli spettatori partenopei a ritroso nel tempo, catapultandoli nella Sicilia del XII secolo, momento in cui la cultura araba venne esiliata dai Normanni.
Sul palco il concerto è a quattro voci che si alternano cantando in siciliano e in arabo, con una naturalezza che rende le due lingue facce opposte di una stessa medaglia. Mi torna alla mente quella volta in cui, durante un’intervista, Franco Battiato disse: «In me di siciliano c’è la parte araba». Ricordo questo aneddoto e finalmente ne capisco il perché.
Gli spettatori vengono ipnotizzati dal Maestro ma anche da Etta Scolo, dalla voce dei Radiodervish, Nabil Salameh e da Sakina Al Azami che seduce con il suo timbro caldo e mediterraneo.
Si susseguono storie fatte di pura poesia e suoni medio-orientali. Storie di passione, ricordi, malinconia, terre lontane … ma anche storie di the e consonanti. Storie che affascinano per la loro semplicità e che, allo stesso tempo, illuminano con la loro interiorità.
Le parole, supportate dalla musica di Carlo Guaitoli al piano, Jamal Oussini al violino, Gianluca Ruggeri alle percussioni, Alfred Hajar al bouzuq e Ramzi Abueedwan alla viola, restano sospese tra passato e presente, tra memoria e scoperta.
L’inizio del concerto, l’origine di questa “Essenza del reale”… è paragonabile all’incipit di un sogno. E’ come se, contemporaneamente, si assistesse a un delirio creativo e a una festa di suoni mediterranei.
D’altronde da “Diwan” ci aspettavamo di tutto: Diwan in arabo significa “dogana”, ma anche “canzoniere”. Battiato sul palco ha tracciato e poi valicato confini, ma soprattutto ha fatto rivivere poeti grazie ai loro versi sopravvissuti al tempo. Tra tutti ricordiamo l’arabo-siciliano Ibn-Hamdis, l’esule innamorato delle forme e dei colori siciliani.
Grazie a queste nuove sonorità, Battiato però ha fatto rivivere anche se stesso. Moltissime delle canzoni storiche che ha riproposto, infatti, hanno notevolmente superato le previsioni: “Lode all’inviolato”, “L’animale” e il famoso brano che lo rese celebre in Kurdistan “Strade dell’est” sono solo tre dei pezzi in scaletta che hanno accarezzato singolarmente l’animo di ogni spettatore.
L’impatto emotivo provocato da musica e parole ha lasciato tutti senza fiato. Ecco che la sua musica compie un miracolo, o sarebbe meglio dire che è Battiato stesso il miracolo.
Dopo più di un’ora e mezzo di spettacolo, il Maestro ha abbandonato la scena e con lui sembravano essere andati via anche tutti i musicisti. Il pubblico si aspettava tornasse sul palco per un semplice bis e invece il poeta della musica italiana ha continuato a stupire.
Per chiudere la serata, infatti, ha riproposto a sorpresa tutti quei brani che, fan o meno, vorrebbero ascoltare a un suo concerto. La versione piano e voce de “La cura” ha fatto rivivere simultaneamente al pubblico la miriade di emozioni scaturite da ogni singolo brano proposto fino a quel momento.
Gli spettatori hanno meditato, pregato, sofferto, amato e superato le correnti gravitazionali insieme a Battiato. E’ stato facile per tutti sentirsi “esseri speciali”, mentre l’immenso cantautore per cinque “eterni minuti” si è preso cura di noi.
Il pubblico partenopeo ha inoltre richiesto un assaggio di “Era de Maggio” a cui il maestro non si è sottratto, nonostante non ricordasse tutte le parole.
Per finire, Battiato ha poi deciso di riportare indietro le anime, svegliarle dal sonno in cui la sua musica le aveva fatte finire. E così, il maestro dopo quasi due ore di viaggio meditativo ininterrotto intona “Voglio vederti danzare”.
Il pubblico è in deliro, l’Augusteo non sembra più essere un teatro. La platea si riversa sotto al palco e Battiato accoglie ogni spettatore con affetto: canta, firma autografi e abbraccia i fan. Inoltre, tutti ballano e ridono con lui…
Nonostante l’atmosfera sia completamente cambiata, la strada percorsa fino a quel momento ci ha portato a raggiungere vette di intensità difficili da esprimere a parole. Il concerto sarà pure finito, ma nessuno dimenticherà tanto facilmente il viaggio spazio – temporale dal quale tutti sono appena tornati.
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