È calato il sipario sull’ottava edizione del Napoli Teatro Festival con un’opera tutta al femminile: Dinamo è la storia di tre donne che custodiscono il loro personale dolore in tre solitudini deliranti che all’inizio non comunicano, parlano lingue diverse.
Ada una rockstar settantenne, attaccata al suo rimpianto duo musicale perduto, emette solo suoni cavernosi da fumatrice in un microfono old style, sua nipote Marisa, che vorrebbe ritrovare la sua carriera di tennista interrotta a seguito del trauma della morte dei suoi genitori con un presunto tentato suicidio dopo una sua sconfitta epica in un torneo tennistico, continua ad avere visioni di trapassati e sfoga la paura con l’attività fisica e Harima, il personaggio più grottesco, quasi un cartone animato che si muove sulla scena, è un’immigrata, di un posto imprecisato del mondo, che vive occultata negli angoli nascosti, appare e scompare da credenze, armadi, soffitti e pavimenti, tentando di comunicare quando può, non appena vede campo libero, con la sua famiglia lontana, attraverso il telefono o il pc di Ada. Il tutto si muove in uno spazio realistico, un camper almodovariano multicolor e allegro in totale contrasto con la storia paradossale e dolorosa che si anima al suo interno.
Dopo il grande successo ottenuto nel 2012 al Napoli Teatro Festival, Claudio Tolcachir, passionale regista argentino, torna a Napoli con questo nuovo lavoro coprodotto dal festival, per raccontare con leggerezza e ironia una storia in sè surreale ed allegorica al contempo, per ricordarci attraverso il significato del titolo stesso, Dinamo (ovvero una macchina che trasforma lavoro meccanico in energia elettrica, sotto forma di corrente continua) come l’universo femminile, per sua stessa natura energetica per l’appunto, riesca sempre a trovare una strada per trasformare anche il dolore più grande e l’incomunicabilità più sorda, in comunicazione empatica e relazione.
Ed ecco che le tre meravigliose attrici, tutte egualmente protagoniste (Daniela Pal, Marta Lubos, Paula Ransenberg) riescono a trovare un punto di incontro comune per aiutarsi vicendevolmente e mettere ordine nei pensieri e nel caravan, per ritrovare quella dignità che sembrava offuscata dalla rinuncia a credere di nuovo nel proprio sogno e quindi a vivere. È lo stesso Tolcachir infatti a rivelarcene la chiave: «Dinamo – afferma il regista – non è una storia narrata, ma viene fatta emergere attraverso il corpo delle tre donne, il processo creativo infatti si è sviluppato in lunghe sessioni di improvvisazione durante le quali ogni personaggio ha fatto emergere una personalità e una vita propria. Dinamo è stato, per noi, un viaggio esilarante: terrore, risate ed emozione insieme.» Dunque è proprio nel ritrovare la centralità del corpo e il contatto con le proprie emozioni profonde offuscate da secoli di patriarcato che risiede la verità profonda dell’universo femminile e dunque un grazie speciale a Claudio che, con la sua capacità profonda e sensibile di osservazione, ce l’ha ricordato.