Attore, regista e sceneggiatore, Marco Marra – classe 1989 – ha di recente terminato il suo ultimo cortometraggio dal titolo “Devadasi”. La nuova opera del giovane regista campano racconta la storia di una donna (Nicoletta Pane) rinchiusa in un sottoscala ed obbligata a prostituirsi e di un uomo (Marco Marra) che cercherà di destabilizzare questo universo senza speranza lasciando spazio a nuove emozioni e a sentimenti puri, estranei sia per lui che per lei. “Devadasi” significa serva di Dio. È un termine usato in India per indicare le donne che, secondo un’antica usanza religiosa, vengono date in sposa alla divinità del Tempio. Inizialmente dedite soprattutto alle arti e alla danza le Devadasi sono diventate, con la decadenza dei templi, delle prostitute. Marra ha scelto questo titolo non per narrare le centinaia di sfumature di questa pratica – oggi condannata e combattuta in India sia da autorità religiose che governative – ma semplicemente ha preso spunto per simulare attraverso delle immagini, la prostituzione, la mancata libertà, la rinascita, la voglia di lottare, ma anche di sognare. Marco Marra ci parla in maniera più dettagliata di “Devadasi” e di altre sfumature del suo mestiere.
In Devadasi hai voluto simulare attraverso molti gesti e poche parole, non solo la prostituzione, ma anche il senso di abbandono, il coraggio di riscattarsi, il sogno, la luce, la speranza e la voglia di ricominciare. Cosa ti ha spinto verso questa tema? Quando hai elaborato mentalmente che la storia poteva diventare un tuo nuovo progetto filmico?
«Mi ha sempre stimolato l’idea di raccontare una storia che riguardasse una tematica delicata come quella della prostituzione e ancor di più la sfida che rappresenta il raccontarla senza sensazionalismi e inutili verbosità preferendo piuttosto uno stile più asciutto e lasciando che siano le azioni fisiche dei personaggi a donare significato alla storia più che le parole. In questo senso una delle tematiche del mio corto potrebbe essere quella dell’incomunicabilità, o meglio di quanto, in determinate circostanze, la forma più pura è sincera di comunicazione non è rappresentata dalle parole. Il desiderio quindi di “mettere su pellicola” un dramma che avesse una protagonista femminile c’era ma c’è voluta l’ispirazione giusta e forse anche la giusta esperienza dietro la macchina da presa. Voglio dire che probabilmente sarebbe stato troppo prematuro raccontare una simile storia alla mia prima esperienza come regista e come sceneggiatore…»
In questo corto ricopri diversi ruoli: regista, attore, sceneggiatore e produttore. In quale di questi ti senti più completo?
«È una domanda la cui risposta è, per me, molto difficile da trovare e ogni volta che mi viene posta trovo sempre molto complicato dare una risposta netta. Posso dire che ognuna di queste vesti mi dona emozioni straordinarie e diverse che mi stimolano processi creativi. In un certo senso tutti questi ruoli creano qualcosa, solo che lo fanno attraverso strade diverse».
Il tuo personaggio in Devadasi rappresenta un po’ la ribellione, la speranza, la rinascita. Quanto queste parole rispecchiano il tuo modo di essere a prescindere dal ruolo interpretato?
«Sono sempre stato affascinato dalle storie di rivincita, di rinascita. Se non ci fosse un cuore drammatico in un opera probabilmente non ci sarebbe una storia interessante da raccontare. La speranza inoltre è, a mio avviso, una delle forze portanti del mondo. È il “sentimento” che spinge a compiere atti pratici che portano ad un obiettivo, che sia questo la realizzazione del proprio sogno oppure altro…»
Dove e quando sarà presentato il corto?
«Il corto è stato ultimato da pochissimo e sta per iniziare il suo percorso attraverso importanti festival nazionali. Nel corso del prossimo anno sarà quindi proiettato nel corso di questi e parteciperà a varie manifestazioni e concorsi di rilievo».
Hai lavorato come attore anche in alcune webserie come Metropolitan Legends, Asso e Di(c)e Game. Come consideri il mondo del web? Pensi di poter realizzare anche tu un progetto simile oppure nei tuoi progetti c’è il grande schermo?
«Il web rappresenta una nuova frontiera per il mercato audiovisivo e ne stiamo oggi scoprendo gli aspetti positivi e negativi, le potenzialità e i limiti. Lavorare a questi progetti è stato molto interessante per me. Mi ha permesso di esplorare questo nuovo mondo oltre che, ovviamente, di fare delle bellissime esperienze dal punto di vista artistico. Lavorare nel cinema è fondamentale, ma non escludo assolutamente realizzare nuovi progetti destinati al mercato del web. Ritengo che la convergenza cross-mediale stia assottigliando sempre più i confini che dividono questi mondi».
Quando ti sei avvicinato alla recitazione e in che modo?
«Dopo varie esperienze a livello amatoriale in ambito scolastico, a 18 anni decisi di iscrivermi ad una scuola di recitazione e così nacque il mio amore per le tavole del palco. Fin da piccolo e in particolare da quando, giovanissimo, vidi al cinema “Il signore degli anelli: la compagnia dell’anello”, ero appassionato di cinema, infatti avevo già intenzione di lavorare in questo settore, anche se, appunto, inizialmente ero interessato quasi esclusivamente alla settima arte, ed è per questo che intrapresi questo percorso che mi ha portato poi ad innamorarmi dell’arte drammatica a 360°, sia nell’ambito del teatro e dello spettacolo dal vivo che nell’audiovisivo».
Nel 2015 hai frequentato un corso con Giancarlo Giannini, cosa ti ha lasciato e trasmesso particolarmente?
«Giancarlo Giannini è uno dei più grandi maestri del cinema italiano di sempre. Anche il semplice ascolto degli aneddoti della sua lunga carriera e delle sue esperienze si rivela utile sia dal punto di vista umano che artistico. Una cosa che mi ha fatto particolarmente piacere è che gran parte delle sue esercitazioni si basavano sulla lettura delle poesie. Si tratta di una cosa così semplice e così complessa allo stesso tempo che mi ha permesso di sviluppare il legame tra l’immagine mentale della parola e il modo in cui questa poi fuoriesce dalla bocca. Anche le lezioni di doppiaggio sono state utilissime e anche particolarmente divertenti. Prima di allora non ero mai stato in una sala doppiaggio ed è stato bellissimo immergermi in questa straordinaria forma d’arte».
Hai seguito diversi corsi, laboratori e stage. Quanto è stata fondamentale per te la preparazione prima di scendere in campo e lavorare ad un tuo progetto?
«La preparazione è fondamentale. Un punto focale è comprendere che il mestiere dell’attore non è diverso da quello, ad esempio, del danzatore. Il danzatore deve esercitarsi sempre per “tenersi in allenamento” e così deve fare anche l’attore. Purtroppo questa concezione non è molto diffusa, vuoi a causa di una subcultura che porta anche chi non ha particolari doti sotto le luci della ribalta, vuoi per altri motivi. Con questo voglio dire che partecipare a workshop, laboratori, stage etc. è un’esperienza indispensabile che continuerò a fare perché è parte integrante di questo lavoro».
Diversi premi e riconoscimenti ricevuti, quanto sono serviti a livello motivazionale e quanto a livello professionale?
«Ricevere premi e i riconoscimenti fa senza dubbio molto piacere e possono essere utili non solo a livello motivazionale, ma anche per far conoscere il proprio nome ad altri addetti ai lavori che magari, non avrebbero avuto altrimenti modo di notarti. È importante però che il premio non sia il fine dell’attore. L’ottenimento di un riconoscimento deve essere la conseguenza di una buona performance. Non credo che si possa riuscire a interpretare bene un ruolo se si pensa ossessivamente ai premi».
Progetti per il teatro?
«Quest’anno ho avuto modo di lavorare a più spettacoli e performance teatrali e di interpretare diversi ruoli. Nella prossima stagione dovrei proseguire su questa strada e ci sono anche altri progetti che sono ancora in fase di valutazione. Insomma ci sarà da divertirci».