In scena al Teatro Mercadante di Napoli “Il Deserto Dei Tartari” di Dino Buzzati, nell’adattamento teatrale e regia di Paolo Valerio, con Leonardo De Colle, Alessandro Dinuzzi, Simone Faloppa, Marina La Placa, Marco Morellini, Roberto Petruzzelli, Mario Piluso (pianoforte e fisarmonica), Christian Poggioni, Stefano Scandaletti, Paolo Valerio; una produzione Teatro Stabile Del Veneto (repliche fino al 22 Aprile).
Protagonista de Il Deserto Dei Tartari è Giovanni Drogo, un giovane tenente mandato in servizio presso un non meglio identificato distaccamento militare ai confini del mondo, la “Fortezza Bastiani”. Un tempo scenario di grandi battaglie, la Fortezza è ora un avamposto abbandonato e pressoché dimenticato. Quando Drogo vi giunge è convinto di trascorrere in quel luogo solo qualche mese, per poi tornare alla vita normale. Dopo poco però, la monotona vita della Fortezza, la disciplina militare, gli orari dell’esistenza comunitaria e la convinzione o illusione che di lì a poco il nemico arriverà, fanno presa su Drogo che, senza rendersene conto, trascorrerà in quel luogo tutti gli anni della sua esistenza. “In passato – scrive nelle note Paolo Valerio – ho già avuto modo di realizzare altri spettacoli tratti da testi di Buzzati. Il mondo di Buzzati è affascinante e misterioso. La mia scelta è stata quella di non avere un unico protagonista: tutti gli attori saranno Drogo, seguendo non solo l’invecchiamento del protagonista, ma le emozioni che col passare tempo si modificano in Drogo come in ognuno di noi: dalla partenza fiduciosa all’attesa, alle delusioni, al sorriso del finale. Tutti gli attori aspetteranno e affronteranno i loro Tartari, e così anche tutti gli spettatori saranno Drogo”.
Spettacolo ambizioso e riuscito solo in parte. Le belle scenografie di Antonio Panzuto, i video di Raffaella Rivi – con proiezioni di quadri dello stesso Buzzati – e le luci di Enrico Berardi donano una visione suggestiva e raffinata. Così come l’interpretazione dei bravi attori aiuta ad illustrarne bene la storia. Tuttavia, ci si domanda cosa può uno spettacolo teatrale aggiungere ad un capolavoro letterario novecentesco, psicologico e non d’azione. Si corre il rischio di raccontare la storia (peraltro scarna) senza nulla restituire del senso di angoscia, solitudine, vana attesa che emergono dalle pagine del libro. In questo senso, è discutibile anche la scelta di far interpretare il protagonista da vari attori, scelta che rende ancora più difficile compenetrarsi nell’animo di una persona che vede trascorrere gran parte della sua vita ai margini del mondo. Il punto è che non tutte le opere letterarie si prestano ad essere tradotte in linguaggio teatrale, fondamentalmente costituito da azione, susseguirsi di eventi e contrapposizione tra personaggi. In questi casi, meglio sarebbe tradire la storia che non il senso.