Un disco dunque in cui la forma pop incontra la classica e le intenzioni di un solo-piano
Oggi puntiamo le luci su un disco che probabilmente celebra a pieno il concetto di musica classica del tempo moderno. Un lavoro in ben 25 atti, 25 tracce di solo pianoforte dentro cui rivivere alla lettera lo spazio e le sensazioni di luoghi preziosi, pregiati, privati per l’autore. Parliamo innanzitutto del compositore e pianista americano David Salvage, ormai di stanza a Bologna… e parliamo poi di questo suo nuovo disco dal titolo “Felsina”, nome etrusco del capoluogo emiliano. Disco dunque in cui la forma pop quasi quasi incontra la classica e le intenzioni di un solo-piano. Sicuramente usciamo dai nostri canoni, sicuramente il disco saprà regalare ai tanti esperti del settore un gusto superiore a quello che l’orecchio pop quotidiano è capace di afferrare. Ma ecco il punto che si celebra proprio con il singolo che troviamo anche impreziosito da un bel video in rete: la musica che dalle roccaforti della cultura classica cerca di incontrare un dialogo – fosse solo nella forma – più popolare e quotidiano. Ed è questo che coglie il cuore e l’ascolto: l’incontro con l’uomo comune. Come ci dirà lo stesso Salvage: “Felsina” è un catalogo di impressioni.
Ascoltiamo un disco come “Felsina” e ci chiediamo: esiste ancora la musica classica? Oggi che connotati ha?
In che senso si può ribadire che non esiste? La produzione di nuove opere liriche, sinfonie e tutto il resto continua. Il pubblico c’è—piccolo, sì, rispetto al quello per altri generi, ma attivo e presente lo stesso. I conservatori e i licei musicali continuano ad attirare molti studenti; quindi i musicisti di domani ci saranno. Tutto questo significa molto di più di una mera esistenza. La musica classica va avanti. Sfide esistono, ma è sempre così. Sono consapevole che la musica classica ha il connotato di essere apprezzata principalmente dagli anziani. Mi fa preoccupare un po’, perché gli anziani d’oggi sono cresciuti quando la musica classica svolgeva ancora un ruolo importante nella formazione culturale di bambini—lezioni di pianoforte, serate all’orchestra, programmi di musica classica sulla tv e sulla radio e così via. Mentre oggi la musica classica gode di meno capitale culturale e agli anziani di domani potrebbe mancare la formazione e magari anche il desiderio di frequentare concerti di musica classica. Avere queste preoccupazioni e cercare di coltivare il pubblico del futuro è giusto. Ma è molto, molto presto pronunciare la morte della musica classica. Da ogni punto di vista, c’è troppa attività per una cosa che—secondo alcuni—sta morendo.
Perché tante piccole tracce? Com’è stato concepito questo lavoro?
Le tracce nascono dal mio sito web, albumleaves.com, che è un “blog musicale”. Post di blog dovrebbero rimanere brevi. Si può pensare dell’album come un diario di impressioni personali che ha inizio nel passato remoto e continua ai tempi presenti e poi guarda nell’ultima traccia all’eterno—il sole, la terra e mozione celeste.
Esiste un brano, un movimento, un momento intero del disco che ti rappresenta di più o che maggiormente rappresenta la città che hai raccontato?
Non lo so. Forse i brani che evocano di più esperienze di prima persona—come “Gli alberi in Piazza Puntoni” o “Nebbia / Torre dell’orologio”. Almeno, sarebbe coerente dire che mi rappresentano come individuo, in cerca d’ombra su una giornata rovente o incantato dalla nebbia. Invece, brani come “Portici” o “Dottore!” hanno a che fare con cose particolari a Bologna. Le tracce rappresentano aspetti o personaggio o luoghi della città; non ce n’è una che ci dia un ritratto comprensivo della città.
E col senno di poi? Manca ancora qualcosa alla narrazione? C’è tutta Bologna oppure ci attenderemo un seguito per completare la visita alla città?
Beh, non lo so. Per me l’album non vuole di più; mi sembra completo. Ma è anche vero che “Felsina” è un catalogo di impressioni. E finché non finiscano le impressioni, la possibilità di nuovi brani come le tracce sul “Felsina” c’è. Quindi, sì, un seguito potrebbe succedere.
Devo dire che sono stato appena ricordato da una studiosa d’arte qui che esiste una quarta sala boschereccia a Bologna. Sull’album, i brani che riguardano le sale boscherecce invece sono solo in tre! Quindi, nel futuro magari mi metto a comporre un quarto movimento a Tre boscherecce. Penso sarà da inserire tra i movimenti, perché mi piace molto la conclusione di “Il museo della musica” (il movimento finale del gruppo).
Bellissimo il video. Chiudiamo così… fantasia e realtà che si incontrano. Ma per essere romantici: qual è la verità? Il sogno o quello che vediamo ad occhi aperti?
È tutto vero. L’altra notte ho sognato di esser tornato a un lavoro che svolgevo a New York. I miei ex-compagni di lavoro mi hanno accolto bene. Certo: in realtà, non sono tornato a New York. E non voglio riprendere quel lavoro—è stato noiosissimo! Ma il sogno ce l’avevo, e quello è vero. Cioè, non c’è una singola verità. C’è la verità della vita conscia—adesso sto scrivendo sul computer, ecc.—e la verità del inconscio—i sogni, per esempio, ma anche l’opere musicali. Sono vere? Certo che sono! Anche se non le vediamo ad occhi aperti, anche se non le ricordiamo bene dopo che hanno finito (come i sogni!) e anche se composte da suoni che non troviamo nella vita quotidiana.