Il cantante calabrese Dante, dopo oltre tre anni di carcere – una terribile esperienza che lui stesso definisce “un caso di malagiustizia” – fa il suo rientro sulle scene da uomo libero il nuovo disco rock “Via Gleno” (Eden Music) e il libro autobiografico “Storia straordinaria di un uomo ordinario”.
Tutta la musica ha la voglia, o la pretesa, di raccontare una storia, ma poi diciamolo pure, non tutte le storie sono interessanti e non tutti i narratori hanno l’arte di saperla raccontare come si conviene. Dante, questo narratore e questa storia invece vale proprio la pena di essere ascoltata, perché, come non succede spesso, qui si parla di vita vera, di sentimenti reali, di emozioni provate e poi raccontate nel modo più sincero possibile, ed è proprio questa straordinaria capacità narrativa che fa di questo disco, ma anche di questo libro qualcosa da non perdere, ma le premesse in questo caso sono d’ obbligo.
L’otto marzo 2003 Dante Brancatisano, musicista calabrese in rapida ascesa, viene arrestato con l’accusa di essere il nuovo capo, referente, della ndrangheta a Milano.Viene condannato nei due primi gradi di giudizio e rinchiuso nel carcere di Bergamo dove trascorrerà più di tre anni sotto il regime del 41 bis, quello cioè riservato ai capi di cosa nostra e simili, quello che prevede un isolamento praticamente totale e perpetuo.
Oggi Dante è un uomo libero, assolto in cassazione dopo che tutti i suoi teorici referenti nell’organizzazione criminale sono stati prosciolti e riprende la sua vita da dove l’aveva lasciata. Un disco, Via Gleno, nome della strada dove si trova la casa circondariale di Bergamo, e un libro, Storia straordinaria di un uomo ordinario, nel quale riporta in musica tutta la sua esperienza, con una grande forza, una grande chiarezza, lucidità e voglia di rivalsa, ma non rabbia, non odio non disperazione, ma anzi speranza e voglia di vivere. Non vi aspettate di leggere o ascoltare facili sentimentalismi sul senso della libertà, perchè quello di Dante è un racconto con le palle, ma fatto da chi sa guardare al futuro, da chi, da questa esperienza, vorrebbe tirarne fuori anche un insegnamento per gli altri e sopratutto da chi vuole accendere un riflettore su una realtà della quale tutti sentiamo parlare tanto, ma alla fine conosciamo pochissimo. Un bel rock al servizio di un grande un uomo coraggioso e vi assicuro a tratti intimamente commovente. Ecco Dante e il suo Via Gleno.
Puoi provare a descrivere a parole il tuo nuovo album, cioè cosa ci si deve aspettare da questo disco Via Gleno.
«Già nel titolo un po’ si può capire, via Gleno è proprio la strada dove si trova il super carcere di Bergamo dove sono stato rinchiuso per tre anni e 25 giorni, e in questo disco ho voluto riportare tutte le emozioni e le sofferenze dell’esperienza dietro le sbarre.»
Quello che mi ha colpito molto nel singolo che dà il nome al disco, via Gleno appunto, è che non è un racconto del TUO personale percorso in carcere ne la storia strettamente della tua ingiustizia giudiziaria, ma un racconto universale della vita di tutti in carcere.
«Sì, se vuoi questa è la storia di cosa si vivi e come si vive li dentro, perché il carcere non è, come si dice, una fonte di rieducazione, il carcere è abbandono, è solitudine, almeno l’alta sicurezza era così, si è lasciati completamente a se stessi, al proprio destino. Io devo dire che ho ricevuto molta umanità dal personale carcerario, forse perché avevano capito sin dall’inizio che io non centravo un cazzo. Però in sostanza la vita li dentro quella è, è pura solitudine, molti si impiccano, danno fuoco alle celle o si tagliano le vene, ma tutto questo non viene raccontato fuori. Non si viene rieducati, ma si viene trasformati in un gatto sempre vigile, sempre pronto ad aspettarsi di tutto, sei vivo ma sei come un morto.»
Mi sarei aspettato un racconto più rabbioso da chi ha vissuto un’esperienza come la tua e invece c’è molta dolcezza e anche tanto amore nel disco.
«Secondo me le canzoni d’amore, uscendo da li, sono quelle che mi hanno ridato la vita e che mi hanno fatto conoscere le persone a cui sono più legato di tutte. E’ anche qualcosa da dedicare alla vita, io penso che non si possa cambiare la società con l’odio o la violenza, credo che il confronto serva. Chi ha sbagliato deve chiedere scusa, è chiaro che nessuno mi ridirà quei tre anni, ma io non sono nato violento e non lo sono diventato, anche durante gli interrogatori lo dicevo io non so neanche cos’è una pistola e mi dicevano che sono un camorrista. Io non sono fatto per la rabbia, per le risse o le guerre, invece il confronto e il dialogo quotidiano possono aiutare a migliorare questa società.»
C’è anche un libro in cui racconti la tua storia, “Storia straordinaria di un uomo ordinario”, me ne parli?
«Beh, il libro racconta proprio tutti i tre anni, racchiude tutte le delusioni, il modo in cui sono stato sfottuto maledettamente da questa giustizia o ingiustizia. Ho messo nomi e cognomi di tutti quelli che hanno fatto cosa, perché io non ho scheletri nell’armadio, e non credo che nessuno si debba nascondersi dietro le quinte. Ho rivendicato la mia totale estraneità ai fatti, ho chiesto anche un incontro con il magistrato che ha firmato l’arresto, ho chiesto molti incontri, con lui, che oggi credo sia procuratore capo a Campobasso, ma lui non mi ha mai voluto incontrare, avrei voluto chiedere cosa c’è di mafioso in me. Il libro chiede proprio questo, il perché di tutto questo calvario, vorrei chiedere il perché di questo sradicare una vita, che così è troppo facile. Il libro mette a nudo proprio i due poteri, come li chiamo io, da un lato la mafia, quei vigliacchi, dall’altro un pm che una mattina si sveglia e con lo stesso potere di quei vigliacchi sradica vite umane, e non sono certo il solo,dentro ne ho sentite di tutti i colori. Il libro vuole proprio toccare quelle coscienze, che forse ancora dormono, perché come si dice meglio un colpevole fuori che un innocente dentro. Penso che questo libro va a toccare quei temi sottili di chi non a più voce,una volta sotto accusa non hai più voce, magari vieni condannato anche se innocente e poi resti per sempre un criminale anche se non lo sei mai stato. Anche nei colpevoli se il carcere fosse veramente rieducativi una volta fuori potrebbero diventare persone per bene e invece non è così. Nel libro ho voluto anche evidenziare quello che fuori non si sa, la gente dice che i criminali escono dopo 15 giorni ed è vero, se si parla di criminali ordinari, invece nel 41 bis è completo isolamento, notturno e diurno e una telefonata al mese e basta, completo isolamento. E devo dire che Berlusconi ha ragione quando dice che bisogna separare le carriere di giudici e pm, una volta mi ricordo, io ero dentro, e lui diceva che se fosse stata una persona normale e non Berlusconi lo avrebbero messo dentro e avrebbero buttato via la chiave, ed è vero. Il libro potrebbe sicuramente essere la storia di tutti, non solo la mia.»
Potevi suonare mentre eri dentro, so che hai suonato con i Pooh, cos’è stato la musica per te mentre eri rinchiuso?
«Intanto no, non potevo suonare dentro, perché in alta sicurezza non si può avere niente, io sono un chitarrista, faccio musica da sempre, e quindi mi immaginavo la musica e poi una volta fuori ho scritto questi pezzi, inseriti anche nel disco come via Gleno e tante altre. Ogni anno veniva indetto un concorso di poesie al quale partecipavo, ho partecipato con la poesia Piccola Nomade che troviamo anche nell’album, sono stato premiato dall’università di Brescia, e da li il direttore si è assunto la responsabilità di farmi suonare in questo concerto con i Pooh, concerto solo per i detenuti comuni perché loro hanno tutto mentre gli altri non hanno niente. E per la prima volta ho rivissuto l’emozione di poter tenere una chitarra in mano e suonare davanti ad un minimo di pubblico tornando a vivere quelle emozioni fortissime. La musica dentro per me era tutto, era l’unico modo di evadere con la mente e volare fuori da quelle sbarre.»
Dopo la tua esperienza hai aperto una scuola di musica “il villaggio della musica”, com’è nata questa idea o esigenza?
«Era un’esigenza perché anche prima di questa situazione mi occupavo del Telethon, di ragazzi emergenti, curavo le uscite discografiche, quindi sentivo la necessità di ricominciare e riprendere tutto e grazie a Dio sta andando bene, tanti big della musica vengono ad aiutarci ed è bellissimo vedere negli occhi di questi ragazzi la luce di chi vuole fare arte e non ha la possibilità di formarsi.»
Prossimi appuntamenti?
«Prossimamente uscirà il secondo album, che segna un po’ il superamento dell’esperienza del carcere e nel quale ricomincerò a raccontare la vita quotidiana. Poi sai i progetti sono tanti adesso stiamo a vedere cosa succederà.»
L’album ,come il libro,mi pare di capire ti siano serviti anche in qualche modo ad esorcizzare l’esperienza del carcere, possiamo dire che hai messo un punto raccontando in musica e in parole a tutta la immaginabile rabbia , frustrazione e sofferenza che ti portavi dentro?
«Sì, pensa che quando abbiamo scritto il libro e suonavamo il disco vomitavo tutte le sere, perché era un rituffarsi e immergersi in quella realtà. Sicuramente è stata una operazione fondamentale, mi ha aiutato moltissimo a liberarmi di tutte quelle ansie, di quelle paure che mi portavo dentro, oggi è tutto molto normale, bello.»