Daniele Ronda, cantautore, autore e arrangiatore piacentino, è il nuovo e interessante artista della contemporary folk musica. Da pochi mesi Daniele ha pubblicato il suo nuovo disco La Rivoluzione, che contiene 11 brani interamente in italiano, rispetto ai due precedenti album con alcune canzoni in dialetto. In questi giorni è in rotazione radiofonica il singolo La Rivoluzione, accompagnato da un bellissimo video che racconta l’esperienza che Daniele Ronda ha vissuto sul palco del Concertone del 1 maggio. Attualmente è in tour, accompagnato dalla sua band Folklub, composta da Sandro Allario (fisarmonica, pianoforte, organo hammond), Carlo Raviola (basso), Matteo Calza (chitarra elettrica, chitarra classica, chitarra acustica, mandolino e banjo) e Marcello Borsano (batteria).
Terzo album, la rivoluzione un grande grido di speranza, attraverso piccoli consigli che dai per uscire fuori da questa crisi, non solo economica ma anche di valori…
«Sono convinto, ancor prima, che sia una crisi di valori sociali e culturali. Hai parlato di consigli, ma prima di comunicarlo alla gente che ascolta o a chi s’imbatterà nelle mie canzoni, sono cose che dico a me stesso, sono il primo ad averne bisogno. Fare una rivoluzione, quella come intendo io, è una rivoluzione interiore, che parte da noi stessi, quotidianamente e significa non scendere a determinati compromessi, che si allontanano da quella felicità che cerchiamo. È l’essere curiosi, informarsi, fare cultura, riscoprire, rimettere, soprattutto in un ordine ben preciso, una serie di valori che stavano andando un po’ ad appannarsi e ad offuscarsi, in realtà, qualcuno preferiva che si offuscassero. La rivoluzione è la forza delle cose semplici, anche delle nostre radici, cose per cui mi batto molto. Vado alla riscoperta di ciò che siamo e da dove veniamo, ma non è un ancorarsi al passato, anzi, significa avere una base e delle fondamenta per costruirci tutto quello che sarà il nostro futuro.»
Com’è nato il video La rivoluzione?
«Questo video, la cui regia è mia, è un po’ cronistoria dell’esperienza fatta per il concerto del Primo maggio a Roma. Da viaggio all’autogrill, dalla camera dell’hotel alle prove con i Taranproject, il video racconta un momento magnifico»
Con la tua musica vuoi mantenere vivo le tradizioni popolari del tuo paese?
«Valorizzare la mia terra non è un chiudermi in essa. Intendo farla conoscere al mondo, per far sì che il mondo mi faccia conoscere reciprocamente tutte le tradizioni e culture. L’Italia è uno dei Paesi, forse, più ricchi di diversità, di differenze, ogni venti km cambia il dialetto, la lingua, la cadenza di alcuni termini, cambiano i modi di dire, i piatti tipici, certe feste popolari e modi di festeggiare, cambiano certi modi di atteggiamento, insomma, è una cosa meravigliosa la ricchezza del nostro Paese. Queste diversità non devono dividere le persone o allontanarle, ma unirle. È una cosa in cui credo molto. Infatti, non a caso, il Primo Maggio al concertone di Roma, ho suonato con i Taranproject, un gruppo caratteristico di musica popolare calabrese, inoltre, nel mio disco c’è un brano con Alessia Tondo, una cantante salentina, che è un ballo della pizzica salentina, ma che ho scritto in terra emiliana. Mi piace contaminare e mescolare le diverse culture e tradizioni, credo che siano veramente delle possibilità e occasione che questi valori ci permetteranno di vincere.»
Legandomi a queste tradizioni, c’è una canzone nel tuo album, Gli occhi di mia nonna, cosa ricorda di lei? Una frase che le ripeteva, qualche leggenda particolare?
«Mia nonna c’è ancora, ed è una grande ricchezza, una fortuna, mi ricordo alcune filastrocche, che mi ripeteva, legate all’educazione, ma non dal punto di vista di rigore, educazione ferrea, ma di capire il rispetto per le persone e di determinati valori. Mia nonna è una di quelle poche persone che stimo tantissimo, perché ha sempre rispettato molto gli altri, una cosa fondamentale. I nonni pur essendo persone semplici e umili, senza un titolo di studio o una posizione, ma meritano il rispetto e la mia stima, perché mi hanno veramente insegnato molto.»
Le tue canzoni sono piene di sentimento e contengono momenti intimi della tua vita. È stato doloroso o terapeutico per te dipingere le pagine con le proprie emozioni?
«Entrambe le cose, tutte le volte che si va a ricordare qualcosa che, in qualche modo, ci ha toccato in maniera forte, ferendoci soffrire e lo portiamo a galla, lo facciamo riaffiorare, questo fa male. Credo molto, non nel rimuginare, ma nel riguardare, a volte in periodi, anche cose che avrei provato in maniera diversa, rispetto al momento in cui le hai vissute, forse perché in quel momento sei più teso, più stanco, più stressato, più agitato, più preoccupato o sei più sereno.»
Nel booklet c’è uno scritto sulla felicità, tu l’hai trovata? E in cosa?
«Solo in sprazzi. Se avessi la formula della felicità, naturalmente, sarei una persona felice, anche se in certi momenti lo sono. L’ho voluta scrivere, ed è un altro riferimento a questa rivoluzione, perché qualcuno se la vuole un po’ mascherare. Sono convinto che la felicità è alla portata di mano, e quando non la viviamo è perché a volte non riusciamo a vederla o perché qualcuno ci ha voluto far credere che essere felici è acquistare cose, oggetti, prendere, possedere, pagare, ma è solo un istante. Poi ci sono delle cose che ti rendono felici, che sono concrete e costruiscono parte dei tuoi valori e della persona che sei. Io quando l’ho vista, vissuta, sentita, toccata, era qualcosa di semplice. L’ho trovata nei rapporti umani e in momenti della vita che ho imparato a godermeli, quando ho la fortuna di scoprirli.»
Hai una lumaca disegnata sulla tua chitarra classica, cosa significa?
«La lumaca è diventata un simbolo. Abbiamo realizzato anche delle tshirt, c’è tutto un mondo dietro. Prima di tutto, amo gli animali in maniera viscerale, a volte se vedo un cane, sono peggio di un bambino di cinque anni, faccio voci e facce strane per giocare. Gli animali hanno tanto da insegnarci e la lumaca, tra le cose che ha da insegnarci, è che dovremmo recuperare la velocità nell’inseguire le cose, i suoi tempi nel muoversi, credo che andare veloce faccia comodo, ma spesso fa sfuggire delle cose e rischi di non avere il tempo di assaporarle e di viverle. Cosa importantissima, inoltre, lei è una viaggiatrice che si porta sempre dietro la sua casa, la sua dimora, una cosa bellissima, ed è una cosa che cerco di fare, portando con me appunto le mie radici, che non significa stare ancorato. Amare la tua terra non significa trascorrere lì tutta la tua vita, perché sai che c’è, ed è un tuo punto di riferimento.»
Oltre alla chitarra c’è qualche altro strumento che suoni?
«Io non sono né un chitarrista né un pianista, ho un mio modo di suonare, particolare a volte in base ai miei gusti, sarà che quando suono la mia canzone, in qualche modo la vivo tanto, da sopperire al fatto che non sono né un virtuoso della chitarra, né del piano, però suono come faccio molte cose nella vita, col cuore.»
Parlami della tua Regina, una canzone dell’album…
«La fisarmonica non la suona ma lo amo. È uno strumento che per molti anni è stato considerato uno strumento vecchio, messo in soffitta, in disparte, come se potesse fare solo del liscio. Mentre è uno strumento che ha una miriade di sfaccettature, di colori, che si abbina con i suoni e sonorità anche a cose modernissime, nel renderli ancora più avanti. Questo polmone che si trova in mezzo, che si chiama mantice, che soffia l’aria, la fa suonare d’incanto, è una cosa che a me piace moltissimo, questo suo essere caldo e umano è quella che me la fa amare.»
Cos’è Folklub?
«È la mia band, anche se fondamentalmente è un gruppo aperto, un laboratorio dove si sperimentano nuove sonorità. Folklub è anche la mia seconda famiglia, facciamo centinaia di concerti. L’anno scorso sono stati più di cento, diventiamo degli zingari, dei viaggiatori, insomma, in certi periodi dell’anno, trascorro più tempo con loro che con i miei parenti, tra concerti, studio di registrazione e promozioni.»
Preferisci suonare dal vivo o essere in studio di registrazione?
«Sono due momenti diversi. Il live ormai è una necessità, è essenziale per me suonare dal vivo ed entrare in contatto con la gente. È una cosa meravigliosa, ti dà modo di cambiare qualcosa, di sperimentare sempre, poi, il contatto con le persone, il sentire le loro sensazioni in maniera immediata, è una cosa bellissima.»
Sei attualmente in tour, cosa devono aspettarsi i fan di trovare ai tuoi concerti?
«Naturalmente il disco nuovo avrà un ruolo fondamentale, ci saranno dei riarrangiamenti ai miei “evergreen”, ci saranno tanti cavalli di battaglia durante il concerto. Suoniamo tanto, non solo all’aperto, ma anche nei teatri e nei club, ogni volta lo spettacolo muta, anche in funzione dell’atmosfera, con un ritmo molto incalzante, con dei momenti di riflessione, ma anche di balli e di salti, per sfogarsi, per tirar fuori tutta l’energia, anche rabbia volendo. Quando siamo in teatro diamo spazio anche al chiacchierare, al parlare, al dialogare con la gente, creando certi momenti di intimità. Sono spettacoli diversi, questa estate saranno tutti all’aperto e quindi via libera allo sfogo.»
Ci saranno durante il tour degli ospiti, visto che hai già collaborato con altri artisti e che la tua musica si presta a delle collaborazioni?
«Assolutamente, alla prima data del tour, che è stata il 5 aprile, alla presentazione dell’album, c’era Alessia Tondo, che ha cantato “Le donne italiane” con me nel disco, poi un gruppo di pizzica salentina, che hanno suonato anche una canzone popolare, c’erano molti ospiti. In questo tour, sarà lo stesso, tanta gente si è fatta viva e, mi ha fatto capire che condivide con me questa missione, questo messaggio, quindi avrò modo di avere tanti amici sul palco.»