È uscita, anticipata dal video ufficiale del singolo I Got the Blues, l’edizione in vinile 33 giri, del nuovo disco del cantautore e chitarrista rock Daniele Faraotti, intitolato “English Aphasia”. L’album di inediti che risente delle influenze dei grandi del rock, The Rolling Stones, The Beatles, David Bowie, contiene nove brani scritti, arrangiati e interpretati da Faraotti. Alla realizzazione di “English Aphasia” hanno contribuito Valeria Sturba (vno, theremin e cori gliss), Paolo Rainieri (tromba e flicorno), Alessio Alberghini (flauto), Daniele D’Alessandro (clarinetto), Simone Pederzoli (trombone), Luca Fattori (cori), Phil Faraotti (cori).
È uscita l’edizione vinile 33 giri del tuo ultimo disco “English Aphasia, la cui realizzazione ti ha spinto alla ricerca di sonorità e alla sperimentazione diversi stili. È stato un album impegnativo musicalmente?
«La cosa più difficile è stata mantenere la spontaneità della prima stesura di queste canzoni. Non proprio una sperimentazione, direi piuttosto una attenzione particolare alla varietà. Quando lavori da solo sei meno condizionato, dai libero sfogo alla fantasia, ma questo aspetto ha anche i suoi lati negativi. Sei solo, i tempi si dilatano notevolmente e temi di non arrivare mai alla versione definitiva di queste canzoni. Questo lavoro è stato impegnativo, ma dalla sua realizzazione ad oggi, sembra che sia passata un’eternità. Attualmente sono completamente assorbito dalla lavorazione del nuovo album».
Ti sei lasciato influenzare dai grandi del passato tra cui The Beatles, The Rolling Stones, David Bowie. Quanto ti hanno formato a livello artistico e musicale?
«Sono cose che evidentemente avvengono senza che tu ne abbia coscienza. Si sedimentano lì e poi te le ritrovi davanti, tra la batteria e il basso, tra le pieghe del cantato, nell’evoluzione formale della canzone».
Il singolo I got the Blues è un’esplosione di rock. Il pezzo che si contraddistingue da riff lenti a cui seguono riff graffianti e decisi. Da quali ispirazioni è stato concepito?
«In passato mi pareva un vezzo da star sottolineare il fatto che le canzoni arrivassero così, per caso. Io non cerco trovo di Picasso, è un po’ la stessa cosa – non è una questione di volontà ma bensì di antenne puntate – quando sei nello stato di grazia che induce all’abbandono, le canzoni arrivano. Talvolta arrivano malconce, bisogna dargli da bere, ripulirle un po’. Il demo di Hey Bulldog da questo punto di vista è quasi imbarazzante – fai fatica a metterlo in relazione con la versione definitiva – più che un abbozzo pare un bozzolo in una fase ancora molto arretrata. I got the blues era già pronta nel 2010 e con la band la suonammo anche in concerto, ma con un ritornello diverso, debole che metteva in cattiva luce tutto il resto. Il nuovo ritornello mi ha costretto a ripensare anche altri momenti della canzone».
Il brano Zawie III è un tributo a David Bowie ed è stato realizzato in tre fasi. Perché?
«La canzone ricorda un po’ certi andamenti di Whiter shade of pale nella parte di synth. Il ritornello suona molto Bowie – le tre fasi di questa stesura però le ho dimenticate – ricordo le quattro stesure di Telephone Line invece…un incubo!».
Sea Elephant è l’unica canzone con testo in italiano. Il pezzo prende spunto da alcuni successi rock dei The Beatles.
«Beh, più che prendere spunto, direi che guarda, fissandola dritta negli occhi, una canzone dei Beatles: I’m the Walrus. Sea Elephant è un calco, un divertimento. I’m the Walrus è una canzone molto moderna, per l’eternità. Il demo di Lennon in questo caso è già quasi forma definitiva ma il 50% del merito in questa canzone se lo prende l’arrangiamento di George Martin».
Nel 1994 hai collaborato con Patty Pravo. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?
«Mi ha lasciato un po’ di amaro in bocca, ma al tempo stesso quell’esperienza mi ha fatto riavvicinare alla forma canzone e, col senno di poi, posso dire che è stata un’esperienza importantissima. Ricordo giorni concitati, un gran lavoro in tutta fretta e tante inutili telefonate. Ero molto ingenuo, lo sono ancora. Mi dispiace che non si possa più vedere su Youtube la registrazione dell’esecuzione. Arrangiai La Vita, una canzone tratta da Ideogrammi, album della Patty, forse tra i suoi più belli. Ho pubblicato due volte sul mio canale Youtube la registrazione ma è sempre stata fatta sparire. Anche altri hanno pubblicato il video avendo poi le stesse conseguenze. La cosa particolare di quella strumentazione era che la batteria non era in organico – erano i sassofoni ad imitarla con colpi di lingua e di chiave. La Patty fu bravissima – intonata e molto a suo agio nonostante i depistaggi che il mio arrangiamento metteva in campo. Nascosto dietro una telecamera, dirigevo la Patty dandole tutti gli attacchi. In queste cose lei ha esperienza da vendere, ma la paura di non entrare giusta in quella giungla di suoni urticanti, venne anche a lei».
Nel 2016 prendi parte alla formazione dell’ensemble strumentale Experience Excentrique. Cosa rappresenta per te quest’altro progetto?
«Vorrei mettere tutto su vinile prima o poi, sto aspettando il momento giusto. Al progetto tengo molto. In una specie di camera magica il futuro è già stato e il passato si fa le canne. Beethoven ascolta I Gentle Giant e Stravinsky fa parte di una band progressive – la sera si incontra con i Genesis dell’era Gabriel per un aperitivo, mentre Zappa prendi tutti in giro raccontando storie di zio carne».