Un nuovo progetto che si “riassume” dentro due dischi: “Canzoni dalla soffitta” e “Live dalla soffitta”
Forse l’ascolto di “Indiani & Cowboy” del 2019 mi lascia un briciolo di pregiudizio (positivo sia chiaro) che però mi porta a marcare il territorio, a pensare che questo suono americano di Cisco sia ancora vivo e, anzi, questa volta si celebra non solo dentro le scelte estetiche ma anche dentro le tante soluzioni scritte, dentro le liriche come nelle intenzioni. Cisco sembra diventarmi sempre più un folksinger americano che un viaggiatore irlandese affamato di mondo e di storia. E in entrambi i sensi per me ha vinto perché, qualunque sia il sapore della sua musica, io lo riconosco.
Ecco quel che sarà il cuore di questa mia piccola analisi. Riconoscerlo: penso sia il complimento più alto che mi sento di fargli. Da Dylan alle chitarre acide di un rockabilly davvero poco prevedibile… dal ritrovato Phil Manzanera fin dentro la scelta di cantare Bruce Springsteen o i Rollingstone o Brian Eno… non so, forse davvero quel disco realizzato ad Austin ha lasciato tracce importanti che oggi mi piace raccogliere e riascoltare dentro questo meraviglioso viaggio intitolato “Canzoni dalla soffitta”.
Torna Cisco Bellotti, torna dopo un tempo pandemico che lo ha visto (come tutti d’altronde) chiuso in casa. E dalla sua magica soffitta, piena di vinili e memorabilia della sua carriera, ha realizzato costantemente contenuti in streaming, tanta musica e vicinanza al suo pubblico. Da quella soffitta nasce questo progetto che si “riassume” dentro due dischi.
Nel primo troveremo 12 inediti, “Canzoni dalla soffitta”, e nel secondo troveremo 12 omaggi alla sua vita, “Live dalla soffitta”, disco come fosse appunto un concerto, in presa diretta chitarra e voce, con poche sovraincisioni di parti solistiche e di armoniche a bocca. Omaggi che lui pesca non solo dalla lunga carriera dei MCR (dando spazio anche a brani meno conosciuti ma forse assai più significativi) ma anche dalla carriera e dalla storia di amici, dai Gang alla Bandabardò, canta in inglese “By This River” di Eno per chiudere con Capossela e quella “Ovunque proteggi” che forse diviene l’inno di vita oggi, inno e bandiera per un uomo dentro questo tempo malato. Ma torniamo agli inediti che è il vero cuore di questo progetto. Ovviamente l’Irlanda dentro le nostalgie che inevitabilmente escono fuori anche volutamente, si pensi al singolo “Riportando tutto a casa” che punta il focus proprio su un immenso ricordare nostalgico della sua carriera, viaggio sonoro dentro cui svetta il whistel di Franco D’Aniello… e questo credo basti a decretarne la pasta e la direzione. Ma sono anche le prime note di “Baci e abbracci”, quelle sfumature di voce e di melodia a ricordarmi il Cisco delle “lotte partigiane”, dei “Cento passi” e dei martiri della rivoluzione. E anche qui non è un caso forse che ritrovo un rimando ai ricordi della Seconda grande Guerra e invece, sempre fedele ai miei gustosi pregiudizi, la voce di Simone Cristicchi che arriva a condividere questa canzone un poco mi “stona”, nell’estetica e nella collocazione artistica che io faccio dei due, “luoghi” per me troppo distanti tra loro… ma poco importa se il risultato funziona e se si amalgama a dovere anche per una timbrica che sembra quasi somigliarsi in alcuni istanti.
Il mondo, dicevamo… il mondo arriva nelle tradizioni vocali di Tamani Mbeya che duetta in “Andrà tutto bene” e che, nel retrogusto della sua melodia, mi chiama alla mente un Gospel nero di pelle… e nonostante questo, riconosco Cisco, niente suona strano, niente diviene violento ed estraniante.
“La finestra sul cortile”, l’America delle sue chitarre in un altro momento in cui torna protagonista il bisogno di fotografare il nostro tempo e tutto quel che accade: canzone ruvida, canzone di rockabilly nelle pieghe. Ma sempre riconosco Cisco. Sempre. Facile ritrovarlo nella sua classicità quando gira la morbidezza poetica di “Lucho”, quando suona la nostalgia (come detto) di “Riportando tutto a casa”… ma è assai interessante scoprire per me un Cisco “nuovo”, impegnato anche con una lirica che in qualche modo scomoda la mitologia nella delicatissima “Vox Dei”: sentire la sua voce cantare parole e liriche poco “abitudinarie” nell’immaginario che ho di lui se penso alla sua musica dovrebbe straniarmi e invece anche questo suona normale. La magia della “normalità” la sento fluire anche dentro il bit digitale di “Leonard Nimoy”, un brano quasi pop che mai avrei pensato potesse arrivare da lui. Eppure non solo piace, ma addirittura sembra talmente suo che quasi non ci faccio caso alla “rivoluzione”. Insomma: trovo tanto altro lontano dalla prevedibilità e dalle abitudini che avevo, ma comunque resta se stesso Cisco, resta la sua voce, resta la sua identità. E anche dentro “Il mio posto”, dove cita chirurgicamente Dylan in una degna ballata folk americana dal cliché inevitabile, resta Cisco, resta lui e io lo riconosco.
E quindi, arrivo alla fine che non mi stupisco più neanche quando suonano le ultime due tracce, parliamo di “The ghost of Tom Joad” di Springsteen nella traduzione a cura di Luca Taddia e di “Dead Flowers” dei RS che qui diventa “Fiori morti”. Non mi stupisco. Lontanissime dal suo mondo eppure suonano anch’esse come brani di Cisco. È inevitabile.
E chiudo dicendo che tutto questo sapore agrodolce tra origini e nuove soluzioni estetiche, questo riconoscersi nonostante altre maschere in faccia, torna costantemente dentro il secondo disco, quello di omaggi, il disco concepito come fosse un vero concerto… ma senza pubblico come imposto da questo tempo… sono canzoni che appunto non chiamerei mai cover, ma omaggi: canzoni sue, canzoni non sue, poco importa questo. È il mondo di Cisco che mi arriva chiaro in faccia. In conclusione: “Canzoni dalla soffitta”, per me ovviamente, è forse il disco più alto del cantautore di Carpi, il disco che solo è stato capace di mostrarmi Cisco da vicino, da dentro la sua casa, dentro le sue fragilità, dentro le pieghe della sua vita… ma anche un Cisco che dal mondo ha preso, ha rubato, ha seminato, che dal mondo ha chiesto tanto… e tanto altro sta cercando di lasciare. Comunque sia, qualunque sia la sua veste, dentro questo disco io Cisco l’ho riconosciuto.