Ciro Esposito ha ricevuto il premio come “Ambasciatore della Gioventù” alla terza edizione del Social World Film Festival di Vico Equense. “Io speriamo che me la cavo”, film del 1992 diretto dalla regista Lina Wertmüller, ha segnato l’esordio al cinema di Ciro, che ancora oggi continua la sua carriera di attore con enorme successo. Ha lavorato con i fratelli Taviani, con Mario Martone, grandi registi, per approdare poi in tv in tantissime serie come “La squadra”, “Un posto al sole”, “Don Matteo”. Si è diplomato all’Accademia di Belle Arti, espone dipinti e sculture, ma quando può, ritorna al teatro, l’amore della sua vita.
È il primo anno che vieni al Social World Film Festival?
«In realtà è il terzo anno che partecipo. L’anno scorso sono venuto a promuovere uno spettacolo teatrale. C’è un legame particolare con questa kermesse. Mi piace molto perché è un festival fatto da giovani e in questo periodo storico è fondamentale importante avere un po’ di menti fresche.»
Sempre nell’ambito del World Film Festival hai ricevuto l’onorificenza di “Ambasciatore della gioventù”…
«Fa sempre piacere ricevere premi, riconoscimenti per quello chi si fa e si rappresenta. Riceverne uno come “Ambasciatore della gioventù” non può farmi che piacere, poiché ho iniziato giovanissimo, da bambino, e quindi abbraccio una folta fascia d’età, dagli otto ai trenta anni che ho.»
Il tuo debutto è stato con il personaggio del bambino ribelle Raffaele Aiello?
«Infatti, “Io speriamo che me la cavo” per la regia di Lina Wertmüller è stato il primo film cui ho preso parte. Anche se ho cominciato con il teatro amatoriale. Avevo sette anni quando ho interpretato il ruolo di Peppiniello in “Miseria e Nobiltà”. Prima ancora ho fatto il suggeritore, involontariamente, ero piccolino, quindi stavo dietro le quinte con i miei genitori e imparavo tutte le battute a memoria, che ripetevo a qualche attore piuttosto imbranato.»
Quindi possiamo dire che i tuoi genitori ti hanno invogliato a percorrere questo mondo?
«In parte sono stati loro perché mi hanno trasmesso l’amore, la passione per il teatro, ma fondamentalmente tutto è nato come un gioco. Frequentavo la quarta elementare e il mio maestro lesse l’articolo su Il Mattino che la Wertmüller era in cerca di bambini per “Io speriamo che me la cavo”. Mi presentai al provino, non ne avevo mai fatti prima e dopo una settimana arriva la arriva la telefonata a casa in cui mi confermano di essere stato scelto per il film. Mia mamma incredula, proprio non riusciva a crederci e diceva: “Lina Wertmüller, Paolo Villaggio, mio figlio ha solo otto anni, dove me lo portate?” Poi è nato il grande cult che tutti conoscono.»
Com’è stato lavorare con la Wertmüller?
«Lei è spettacolare, ho instaurato un bellissimo rapporto. Ha un grande dono, quello di insegnare involontariamente alle persone, ed è una che da tanto, è sempre lucida sul set, sempre attiva, e non perde mai il filo. È stato un piacere ricontrarla dopo anni in un altro “Mannaggia la miseria”, altro film sempre girato da lei con Gabriella Pession e Sergio Assisi in cui io interpretavo il personaggio di Raffaele Aiello però cresciuto. È stata una bella esperienza rincontrarla sul set e rivederla dopo anni, più giovane di prima.»
Che genere di cinema ti piacerebbe fare?
«Ho avuto la fortuna di sposare dei progetti dove si richiedeva il supporto di un personaggio realmente vissuto, come “Le Ali”, la storia di Gianfranco Paglia, o “Il Grande Torino”. Mi piacciono le storie vere. Avere la possibilità di raccontare alle persone una storia italiana, un fatto realmente accaduto a persone che magari non conoscono, oppure che vogliono rivedere, è gratificante per me.»
Tra tutti i grandi attori con cui hai lavorato c’è qualcuno che ti ha insegnato qualcosa o di cui ti ricordi un consiglio, una frase e che ogni tanto ti viene in mente?
«Una persona mi disse, non ricordo bene chi, ma la frase mi è rimasta bene impressa, “È meglio perdersi nella propria passione che perdere la passione”, queste parole mi sono rimaste dentro. La cosa bella di questo mestiere è che puoi imparare qualcosa anche da un ragazzino. Il segreto sta nel fatto che devi essere una spugna, non bisogna avere la presunzione di dire, sono arrivato, oppure non ho bisogno più di conoscere e imparare. »
Prossimamente dove ti vedremo?
«Nella seconda serie di “Rossella” con Gabriella Pession, che andrà in onda a ottobre. Poi ho una cosa che avevo in mente già da diverso tempo, quello di scrivere uno spettacolo teatrale tutto mio, ho trovato un bel soggetto sul sociale, le morti sul lavoro e ho trovato l’appoggio di un grande, per quanto riguarda le musiche, il maestro Enzo Avitabile, che ha sposato appieno il progetto e mi sta facendo anche un po’ da supervisore.»
Hai altre proposte, fiction, cinema…
«Lo spero, è un periodo talmente strano che è difficile sbilanciarsi. Comunque ho diverse proposte, ma è preferibile non parlarne.»