Doppio appuntamento con la rassegna “Astradoc: viaggio nel cinema del reale” al cinema Astra; venerdì 16 marzo dalle 19,30 si viaggia dall’America fino alla Calabria, con due opere presentate in diversi festival internazionali.
Si comincia con “La poltrona del padre” di Antonio Tibaldi e Alex Lora, passato in festival di mezzo mondo tra cui l’IDFA di Amsterdam, il Biografilm Festival di Bologna e il Filmmaker Festival di Milano. A seguire, alle ore 21.30, ci sarà “Tarda estate” di Antonello Scarpelli, un giovane autore italiano che, alla sua opera prima, ha realizzato uno dei film più interessanti selezionati lo scorso anno al prestigioso Visions du Réel di Nyon. Antonello Scarpelli sarà presente al Cinema Astra, introdotto da Armando Andria, storico del cinema.
“La poltrona del padre” racconta di Abraham e Shagra, due gemelli ebrei ortodossi, avanti con gli anni, che conducono un’esistenza appartata nella loro casa di famiglia. Dopo la morte dei genitori hanno accumulato oggetti e memorabilia di ogni genere, riempiendo i locali senza troppo badare all’ordine e alla pulizia. I gatti randagi sono accettati e si aggirano per le stanze con felina tranquillità. L’inquilino del piano di sopra ha però posto un ultimatum: non pagherà più l’affitto se i gemelli non ripuliranno completamente il loro maleodorante appartamento. Abraham a Shagra non hanno altra scelta, devono aprire le porte di casa a una ditta specializzata.
“Tarda estate” di Antonello Scarpelli ci porta, invece, in un paese in Calabria. Tre gioventù, tre famiglie, tre classi sociali. La stessa condizione immutata di attesa, disperazione e il male di vivere. Questa è stata l’Italia, il Sud, per più di un secolo. Rigorosamente a spalla, la camera cattura, in un modo quasi naturale, questa realtà composta di gesti e parole infinitamente ripetute, dove la sola possibile soluzione è quella eterna dell’emigrazione.
“Tarda Estate – dice il regista – è un film che coinvolge un gruppo di giovani attori non professionisti di un paesino di provincia in Calabria. Disoccupati o precari, continuano a vivere con i propri genitori e, più o meno viziati da questa situazione, si lasciano andare. Le loro giornate le passano vagando per il paese in cerca di distrazioni come rifugio al malessere e all’apatia del quotidiano. Dalla comunità di Celico, un paesino ai piedi dell’altopiano della Sila in Calabria, questi ragazzi vengono percepiti come perdigiorno, vagabondi senza meta. Solo i genitori giustificano questo atteggiamento come una reazione naturale alla mancanza di prospettive.