Lo scorso 5 luglio, nella suggestiva location del Real Orto Botanico di Napoli, per la rassegna teatrale “Brividi d’estate”, è andato in scena un appassionante spettacolo basato sul più grande capolavoro di Gabriel García Márquez: “Cent’anni di solitudine”.
Le famose sette generazioni della famiglia Buendía rivivono così grazie alla calda voce di Paolo Cresta e alle commoventi note di Massimiliano Sacchi, Ernesto Nobili e Marco di Palo.
Fin dai primi minuti, come per magia, gli spettatori sono catapultati dalla corte del castello dell’orto botanico a uno strano villaggio immerso nella foresta colombiana: Macondo.
Tante le avventure e disavventure che vengono narrate, tanti gli amici che s’incontrano in questo strano posto durante quest’ assurdo viaggio: primi fra tutti José Arcadio Buendía e Ursula Iguarán.
Inizialmente sembra quasi che nomi, visioni e storie si accavallino tra loro. Poi, a mano a mano tutto assume un senso e le vite di ogni protagonista diventano “specchio” della nostra stessa vita.
La suadente voce di Paolo Cresta è in grado di far sembrare ogni sillaba una nota musicale più che un’ordinata disposizione di lettere. Allo stesso tempo, la musica dei “Ringe Ringe Raja” accompagna quello che risulta essere un vero e proprio diluvio narrativo senza freni né regole. I tre musicisti sostengono magnificamente la tensione visionaria del racconto stesso, donandoci una carica emotiva immensa, contraria a qualsiasi logica razionale.
A travolgere e sconvolgere lo spettatore è la stessa essenziale scenografia. Il palco risulta completamente spoglio: protagonista della scena è solo un forziere chiuso. Uno scrigno che può contenere tutto e il suo contrario: un tesoro, il ghiaccio, una delle invenzioni degli zingari, i ferri magici di Melquìades, una scacchiera… o ancora, più semplicemente, i “nomi delle cose”.
Alla fine dello spettacolo però, ci si rende conto che in fondo poco importa di quello che può esserci o meno in questo mistico e misterioso forziere: il vero tesoro, infatti, è lo spettacolo in tutta la sua interezza.
Un tesoro che, seppur rivelato, resta un segreto. Assistere a “Cent’anni di solitudine” vale a dire farsi testimoni di quello che è il mistero della vita. In un’atmosfera incantevole e incredibilmente intima, lo spettatore ha l’opportunità di veder nascere e morire tanti uomini. La vita su quel palco continua a mutare forma, resistendo alla stessa eternità.
Grazie alla regia di Annamaria Russo e Ciro Sabatino vengono raccontate gli aneddoti di una famiglia “irripetibile da sempre e per sempre”,
Sul quel palco così essenziale, semplice e spoglio vengono riscattate intere stirpi che “condannate a cent’anni di solitudine non avrebbero una seconda opportunità sulla terra.”
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