Cenerentola è un classico, una storia che tutti conoscono e di cui nessuno si è ancora stancato. Basta nominare la “ragazza della cenere” che subito ci si ritrova a ripensare ai topolini, la matrigna, le sorellastre, il gatto Lucifero e all’immancabile Fata Madrina.
Viviamo di ingiustizie, ma non smettiamo mai di alimentare sogni: un pezzetto della nostra vita e un anticipo di speranze future sono racchiuse in questa fiaba che adesso, a più di 50 anni dalla prima produzione Disney, il regista Kennet Branagh ha saputo magistralmente riportare sul grande schermo.
Dimenticatevi le canzoni: la colonna sonora è da cornice, anche se indubbiamente il leitmotiv del film resta un’importante chiave di lettura insieme alla frase della madre di Cenerentola: “Sii gentile e abbi coraggio”. Per quasi tutta la durata del film la gentilezza la fa da padrona, per il coraggio bisogna attendere le battute finali.
Perfetta la fotografia che muta con la storia e l’evolversi dei sentimenti. Impeccabili i vestiti di Anastasia, Genoveffa e della matrigna che si aggiungono alle notazioni positive da fare alla pellicola.
E, restando in tema, il ruolo della protagonista sembra cucito su Lily James che convince nel ruolo di ragazza perbene che nonostante il destino duro e la vita al limite dell’assurdo riesce a vivere serena grazie alla promessa fatta alla madre. Sorprendente trovare la Bonham Carter nel ruolo della Fata Madrina e la Blanchett in quello della matrigna e non viceversa. Ci si si meraviglia soprattutto nello scoprire che il regista non avrebbe potuto fare una scelta migliore.
In questa trasposizione cinematografica troviamo, come in ogni riadattamento, alcune modifiche. Tra queste, due sono quelle che più ho preferito. In primis la poca importanza data alla scarpetta che, naturalmente, resta il simbolo di questa fiaba, l’escamotage per far rincontrare il principe e Cenerentola, ma non altro. I due giovani, infatti, si conoscono e riconoscono indipendentemente da carrozze, scarpe e vestiti.
Ancora, si resta affascinati dall’importanza data alle parole: il soprannome “Cenerentola” ferisce la dolce e ingenua Ella che si sente marchiata a fuoco da questo appellativo. La fanciulla scappa via da chi questa parola l’ha ideata e proferita, ma è inutile perché ormai le è entrata dentro. Piena di cenere e dolore fugge a cavallo e quando il principe le chiede di dirgli il suo nome lei non risponde: non riesce più a racchiudersi in una parola.
Ho capito che la Cenerentola di Branagh mi è veramente entrata nel cuore durante una delle ultime scene del film quando la telecamera inquadra a lungo la matrigna umiliata che guarda fissamente negli occhi Cenerentola sull’uscio di casa, pronta per la sua nuova vita. La dolce Ella non ha più lo sguardo ingenuo: sono due donne a scrutarsi. Nessuna delle due si decide ad abbassare lo sguardo. In sala, durante questo lungo silenzio, un bambino di massimo 4 o 5 anni, ha urlato alla matrigna di chiedere scusa.
Il bambino si è fatto sentire da tutta la sala, a file di distanza ho percepito la sua rabbia infantile. È stato a quel punto che ho capito che la coppia Branagh – Disney è riuscita nell’intento: catturare anche le nuovissime generazioni. Forse non avevamo bisogno di un’altra storia su “Cenerentola”, ma sicuramente questa pellicola è una delle migliori versioni mai viste.
Il duo sembrava un azzardo, invece ha vinto facendo dominare incontrastata la fantasia, ma rendendo protagonisti assoluti i sentimenti che si sono avvertiti ben oltre lo schermo.
La matrigna, purtroppo per il bambino, è rimasta in silenzio. È stata Cenerentola a dirle: “Io ti perdono”. Ecco il coraggio che esplode dopo tanta gentilezza, l’affermazione della propria identità, la forza per cambiare una volta per tutte il proprio destino e trasformare le parole – mantra di tutta una vita in una semplice realtà: il futuro.
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