Al Teatro Nuovo di Napoli è di scena Rumba. L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato, di e con Ascanio Celestini in scena assieme al musicista Gianluca Casadei, presentato da Fabbrica, Fondazione Musica Per Roma e Teatro Carcano di Milano (repliche fino a dom. 17 novembre).
Rumba è la terza parte della trilogia di Celestini composta anche da Laika e Pueblo. I due personaggi sono gli stessi in tutti e tre gli spettacoli, vivono in un condominio di qualche periferia urbana e si raccontano quello che gli succede. Nella povera gente del loro quartiere riconoscono facce e destini analoghi a quelli degli ultimi che Francesco ha incontrato otto secoli fa. C’è Giobbe, magazziniere analfabeta che di lavoro muore, e Joseph, che è partito dal suo paese in Africa, ha attraversato il deserto, è stato schiavo in Libia e poi naufrago nel mare. Certo, si è salvato ma in Italia è finito in carcere. Appena uscito è stato un facchino, ma adesso è un barbone. E poi c’è lo Zingaro, che ha cominciato a fumare a otto anni e sta ancora lì che fuma, accanto alla fontanella, davanti al bar. Osservando questa varia umanità, Celestini immagina la vita di Francesco oggi: come il santo vivrebbe la povertà nell’Italia contemporanea e quale compagno di strada sceglierebbe. Un uomo contro corrente che, pur essendo ricco, scelse non solo di essere povero, ma di farsi servo dei poveri. Un cavaliere che non volle più fare la guerra e che, da frate, in tempo di crociate, si recò in Terra Santa predicando la pace e la fratellanza. A lui si deve l’invenzione del Presepe, che il santo allestì per la prima volta a Greccio, la notte di Natale del 1223: un bue, un asino e una mangiatoia, niente altro. Serviva mostrare che Gesù era nato povero, in un paese povero, un posto di poveri.
In un continuo alternarsi di piani temporali tra il Medioevo e oggi si dipana questa nuova impresa di Ascanio Celestini, da sempre impegnato in un teatro di narrazione dai forti connotati etici e civili. Le sue straordinarie capacità affabulatorie rendono chiare e interessanti problematiche che sono insite in ogni modello di civiltà e che attraversano i secoli. La sua onestà intellettuale consente a lui ateo di avere una reale ammirazione – che traspare tutta – per un personaggio così fuori dal comune. Il suo studio approfondito della materia di volta in volta presa in esame gli permette di fare dotti excursus (sempre, però, intrisi di quella vena ironica che gli è congeniale) per poi tornare all’attualità del discorso, alternando sapidi momenti distensivi ad altri di più amara riflessione. Navigato uomo di teatro, Celestini ha il dono non di “raccontare” ma di “far vedere” una scena, appoggiandosi sull’accompagnamento musicale di Gianluca Casadei (discreto ed essenziale compagno di scena) e su pochi elementi scenici (in questo caso, un siparietto che si apre su dei disegni che illustrano personaggi e scene del racconto). Questo e nient’altro perché, come San Francesco, il teatro quand’è povero e ridotto all’essenziale scalda i cuori e illumina le menti.