Un rock di tutto rispetto quello dei Capobranco, trio padovano composto da Alex Boscaro (chitarra e voce); Valerio Nalini (basso e voce); Enrico Carugno (batteria) che, dopo l’esordio del 2014 e oltre 40 concerti che li hanno portati fino alle Canarie, sono ritornati sulle scene musicali con il nuovo album ‘Il grande zoo’. Il progetto è composto da 6 tracce, pubblicato da Jetglow Recordings è registrato allo Studio2 di Padova e prodotto da Cristopher Bacco. Paragonati ai Tre Allegri Ragazzi Morti poiché un trio che inizia i concerti mascherato, ai Litfiba per il timbro della voce del cantante Alex Boscaro e ai primi Negrita per le sonorità e per i testi piuttosto diretti, i Capobranco esprimono un rock deciso e trascinante, evidentemente sporcato da inconfondibili ritmiche funk.
Quaranta concerti in giro per il mondo e un nuovo disco. Come si è evoluto il vostro modo di fare musica?
«È una storia lunga, perché noi tre come musicisti proveniamo da un’altra esperienza in comune, il progetto “The Vintage”. La formazione era diversa e coinvolgeva un quarto componente, il cantante solista. Nell’ormai lontano 2009 ci siamo trovati a suonare in tre senza farci troppe domande e abbiamo presto cominciato a gettare le basi di quello che sarebbe diventato il Capobranco, che ha visto la luce nel 2012».
Com’è cambiato il vostro modo di fare musica?
«L’aspetto interessante è che, nonostante tante esperienze già condivise e una chimica già sviluppata, la nostra evoluzione da quel punto ha preso una strada a sé, perché c’era un nuovo modo di suonare da esplorare: abbiamo dovuto imparare a scrivere canzoni adatte a un trio e soprattutto a cantare in italiano, possibilmente comunicando qualcosa di sensato. Il nostro obiettivo è infatti che i testi siano un valore aggiunto alla musica che scriviamo, e non solo un orpello melodico. E una formazione a tre richiede molta cura negli arrangiamenti, sia in fase compositiva che nella preparazione dei live, perché il rischio di risultare eccessivamente scarni è sempre presente. Questi sono gli aspetti su cui siamo più maturati in questi anni, imparando ad esaltare la vena funk che ci contamina – e questo nel secondo album si sente – e lavorando sul momento più essenziale per un gruppo, lo show dal vivo. Possiamo assicurare che l’ultimo dei 40 (ormai di più!) concerti che abbiamo fatto è molto diverso dal primo».
‘La civiltà cui viviamo non è altro che un grande zoo’. Perché la vedete così?
«Concentrati come siamo su noi stessi, non ci accorgiamo di troppe cose, perché abbiamo dimenticato in soffitta la capacità di osservare. E se fossimo prevedibili tanto quanto noi pensiamo esserlo gli animali? La chiassosità di un branco di cani, il fastidioso ronzio delle zanzare, serpenti velenosi pronti a morderti appena volti le spalle sono solo alcuni degli stereotipi che associamo alla natura che ci circonda. Lo spunto di riflessione, chiamala provocazione se vuoi, è: proviamo a guardarci da fuori. Forse potremmo renderci conto di non essere poi così diversi e originali. Magari non siamo neanche del tutto liberi, ma rinchiusi in uno zoo così grande da non vederne i confini, nella rassicurante attesa della pappa che ci viene quotidianamente propinata da chi ha veramente il controllo, “i guardiani del grande zoo”».
Come vedete la scena rock in Italia?
«Esiste ancora una cultura rock, ma rispetto ai tempi nei quali siamo cresciuti noi è relegata in una piccola nicchia, non solo analizzandola da un punto di vista strettamente musicale. In questo momento i trend musicali sono legati più al costume che alla musica stessa. L’indie odierno, fortemente caratterizzato da elementi tipici della musica pop, e la moda hipster sono abbastanza lontani da quello spirito di ribellione che il rock ha rappresentato per molti anni».
Pensate che non ci sia più il rock di una volta?
«Questo non vuol dire che non ci sia musica di qualità in giro, anzi. Semplicemente è un momento storico che non ha granché spazio per il rock, a meno che non si parli dei grandi mostri del passato che ancora riempiono gli stadi di tutto il mondo. La buona notizia è che assistiamo a un rinnovato vigore, che mancava da qualche anno, nell’organizzazione di eventi dal vivo di musica indipendente e anche il pubblico sembra aver riscoperto questo tipo di esperienza, diversa sia dalla discoteca sia dai concerti da stadio prerogativa del mainstream più dominante».
Prossime date del tour?
«Dopo le date invernali, culminate nella splendida serata giocata “in casa” al Fishmarket di Padova, stiamo organizzando una serie di concerti per il periodo primaverile. Li comunicheremo a breve perchè stiamo preparando una serata speciale, in apertura alla seconda parte del tour, in una location decisamente particolare. Lunga vita al Rock!».