Nell’ambito del Campania Libri Festival, si è tenuto un incontro, presso il Teatro Politeama, con la scrittrice Dacia Maraini. In occasione del suo 85esimo compleanno, la Casa Editrice Mondadori le ha dedicato “I Meridiani” che contiene tutti i suoi romanzi e i numerosi racconti, curato da Paolo Di Paolo e Eugenio Murrali.
Scrittrice, drammaturga, saggista, poetessa, figura di spicco nel panorama mondiale letterario tanto da essere candidata più volte al Nobel per la Letteratura, Dacia Maraini, come si legge nella prefazione del Meridiano, «si è fatta interprete sensibilissima ed originale dei mutamenti della nostra società , dimostrando con sempre maggiore evidenza una vocazione civile profonda e una forza narrativa legata in particolare ai temi della condizione femminile».
Hanno dialogato con Dacia Maraini Antonio Parlati e Tiuna Notarbartolo.
Citiamo spesso la tua frase: “Preferisco la stima alla fama”. Puoi spiegarci il perché?
«La fama può essere riconosciuta ad una persona anche se fa una stupidaggine. La stima invece va conquistata e dimostrata. Personalmente non voglio essere famosa, desidero avere la stima e la fiducia delle persone che mi circondano».
I Meridiani sono l’Oscar della Letteratura e costituiscono un grande riconoscimento da parte dell’editoria. Cosa rappresenta per te questo Meridiano?
«Lo considero un atto di stima pubblico. Scorrendo i nomi di chi lo ha ricevuto prima di me, mi sono accorta che le donne sono pochissime, forse appena un 5 %. Sicuramente il mercato non le discrimina ma se consideriamo i luoghi dove si formano i modelli culturali dominanti, ecco che sorge il problema: la discriminazione. Ho dedicato tutta la mia vita alla scrittura e quindi penso che qualcosa sia rimasto».
Cosa ne pensi della scuola?
«La scuola dovrebbe essere rivalutata. Io vado spesso nelle scuole e quindi posso parlarne perché le frequento. In questi ultimi anni non si è investito nella scuola. Essa è diventata un’azienda ed i presidi vengono chiamati dirigenti. Anche nel linguaggio si fa riferimento alla produttività. Ma la scuola deve formare dei cittadini responsabili e non dare solo delle informazioni che oggi i ragazzi possono da soli trovare su internet. Bisogna lavorare sui valori e rendere gli alunni protagonisti. Purtroppo la scuola è stata dissacrata e i docenti non hanno più quel prestigio di una volta e i loro stipendi sono decisamente bassi. So però che ci sono dei docenti eroici per impegno ed attaccamento ai loro allievi».
Nel Meridiano Maraini c’è anche una tua biografia. Nei romanzi e nelle storie che scrivi quanto c’è di te e della tua vita?
«Soltanto il romanzo Bagaria racconta la mia vita in Sicilia. Negli altri libri che ho scritto c’è poco di me anche se poi mi accorgo che uno scrittore proietta un po’ di se stesso nei personaggi che crea. Il mio romanzo più venduto nel mondo è Marianna Ucria che è nato osservando un quadro. Le donne venivano ritratte con delle pose iconiche magari con dei fiori tra i capelli. La cosa che mi colpì fu lo sguardo disperato di questa donna ritratta e poi seppi che era sordomuta.
Spesso i personaggi bussano alla mia porta. Io li faccio entrare ed accomodare in salotto per un caffè ma se poi pranzano o cenano con me, o addirittura chiedono di dormire e si accampano nella mia casa devo scrivere di loro. Tra poco uscirà una nuova edizione di Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi ed io ho scritto la prefazione. Tabucchi, De Luca e se non ricordo male anche La Capria mi hanno detto di provare la stessa cosa: è il personaggio che chiede di essere raccontato. È un po’ come succede in amore. Cupido scocca la freccia senza sapere dove essa andrà, la sua direzione. Anche Shakespeare ne parla nel Sogno di una notte di mezza estate. Per un incantesimo Ermia si innamorerà del primo che vedrà al risveglio: un asino! Io penso che l’amore vero è quello che mette radici e che quando finisce si trasforma in amicizia, stima, affetto, tenerezza. Le vicende di Ilary e Totti mi fanno pensare che tra i due, nonostante i figli, non ci fosse amore. Soprattutto i greci hanno raccontato bene questo sentimento».
I personaggi delle tue narrazioni seguono i cambiamenti storici o restano statici?
«Anche se tu racconti una cosa avvenuta per esempio nell’800, ci saranno dei punti in comune con l’attualità. Dante racconta l’inferno ma oggi chi ci crede più? Eppure parlando di Paolo e Francesca ci commuoviamo perché Dante ci fa provare delle emozioni e così anche Manzoni e tanti altri scrittori. In effetti la narrativa consiste proprio in questo: pescare qualcosa di antico attualizzandolo. Penso alla moda che ha generato una strana passività. Faccio l’esempio dei tatuaggi. I detenuti si tatuavano qualcosa che ricordasse loro la libertà perduta: un veliero, una farfalla, un uccello. Oggi tutti si tatuano. Anche i jeans, quelli rotti, sfilacciati costano una fortuna».
Tu sei una donna che ha amato molto: Lucio Pozzi, Alberto Moravia, Giuseppe Moretti. Hanno avuto un posto nella tua scrittura?
«Non credo. La scrittura è un processo individuale. Lo scrittore si riconosce per il suo stile che è paragonabile ad un progetto musicale. Se non leggi non puoi scrivere e se non conosci le note non puoi comporre musica».
È vero che sei una lettrice accanita?
«Si. Sono presidente del premio Elsa Morante e quindi leggo anche libri di scrittori emergenti. Per il Premio Strega ho letto ben 74 libri! Per la verità leggo i primi due, tre capitoli perché non mi interessa la storia ma lo stile. Ormai sono allenata e me ne accorgo subito. Se il libro ha stile poi lo termino».
Qual è il tuo rapporto con i social?
«Non mi trovate sui social. Credo che siano degli strumenti necessari ma andrebbero regolati. Due sono le cose che mi infastidiscono: l’anonimato che è vile ed il linguaggio che insulta o denigra una persona. Se mi arriva una lettera anonima, la strappo».
La scrittura è per te come un sesto senso per scoprire la realtà?
«Non tutti sanno che io ho trascorso ben due anni della mia vita in un campo di concentramento nipponico dove non ci davano da mangiare. Il cibo era diventato un’ossessione e parlavamo sempre di cose da mangiare. La mancanza di qualcosa crea il mito. Noi avevamo il mito del cibo. Nei miei romanzi lo metto spesso e mi piace anche molto cucinare per i miei amici».
Pensi che la sofferenza sia un passaggio importante per scrivere bene?
«Tutti noi siamo condannati a morire. Tutto finisce e la nostra condizione umana è molto dolorosa. Le persone più sensibili soffrono di più e ho notato che nei creativi l’idea della morte è sempre presente. Anche i bambini ne parlano, spesso come un evento normale, ineluttabile».
Sei una grande viaggiatrice ed anche nei tuoi libri si parla spesso di viaggi.
«Penso di avere il viaggiare nel DNA! Mia nonna era inglese ed ha viaggiato spesso da sola, era una globe-trotter. Memorabile un suo viaggio in Persia. Mio padre anche viaggiava spesso: Nepal,Giappone… Il vero viaggio è quello che si fa senza un’agenzia turistica ed il difficile è confrontarsi con culture diverse. Tuttavia ci sono dei valori umani assoluti, presenti in tutte le culture e proprio su di essi dovrebbe fondarsi il linguaggio tra i popoli».
Qual è il tuo rapporto con il tempo?
«Il tempo non esiste, è una convenzione. Noi abbiamo inventato l’orologio che è un oggetto struggente. Ma che volete che sia la durata della nostra vita paragonata all’eternità? Nulla. Ma se riempite il vostro tempo esso si allarga. Vi consiglio di leggere la novella di Luigi Pirandello Il treno ha fischiato che ha per protagonista un impiegato metodico ,abitudinario, risucchiato dalla routine. Il giorno in cui sentirà il fischio del treno sarà quello della sua morte».
Quali interessi ha Dacia Maraini?
«Vado molto a teatro e mi piace il cinema. L’ultimo film che ho visto è stato il signore delle formiche di Amelio. I due attori sono straordinari( N.del r. Luigi lo Cascio- Elio Germano). Ascolto molta musica classica , faccio sport: nuoto e sci. Faccio anche delle lunghe passeggiate nei boschi. Mi interesso molto dell’attualità, guardo i Tg. La cronaca è utile a capire dove sta andando il mondo. Mi ha colpito molto la notizia dei disordini in Iran e l’uccisione di quella ragazza soltanto perché un ricciolo dei suoi capelli sporgeva dal velo. Parlare poi di polizia morale è mostruoso. Ho scritto anche un articolo su questa cosa pubblicato dal Corriere».
Qual è il tuo romanzo preferito tra quelli che hai scritto?
«É difficile dirlo. Dico una cosa scontata: i libri sono come i figli e nello scriverli ci metto passione e dedizione. Forse l’ultimo che ho scritto lo sento più vicino. Marianna Ucria poi ha collezionato milioni di lettori in tutto il mondo».
Quali i prossimi impegni e progetti di Dacia Maraini?
«La settimana prossima andrò a Venezia per i Meridiani e poi in America, in Florida (N.del.r. Per ricevere la sesta laurea honoris causa). Poi da due anni sto scrivendo un libro sulla mia permanenza in un campo di concentramento nipponico. Pochi sanno che esistevano anche in Giappone e voglio darne testimonianza. Ma questo libro mi costa moltissimo. A maggio e precisamente il giorno 11 tornerò a Napoli per il Premio Elsa Morante».