Virata punk e new wave per Bugo, al secolo Cristian Bugatti, novarese naturalizzato a Milano, uno dei pochi cantautori della nuova scena italiana a essere (a volte anche involontariamente) contro. Nel senso che Bugo oltre che nella sua musica è davvero contro ogni logica di mercato e di strategia. È uscito con il suo nuovo disco Nessuna Scala da Salire (Carosello Records) prima in vinile (per il Record Store Day) e poi in cd. Fa due show case di presentazione (Milano e Roma, il 27 aprile) e degli instore (26 aprile Torino, 28 Roma, 29 Firenze) e dice al suo pubblico: “Ma come fate a non innamorarvi di me?”.
Bugo, hai pubblicato prima un EP Arrivano i nostri e poi un album di 12 tracce completo, perché?
Avevo tutti i pezzi pronti da quando sono tornato l’anno scorso dall’India e volevo in qualche modo continuare a mettere fuori musica. Volevo dire che ero tornato. E perché no? Del resto questo che esce ora è il mio ottavo album ed è un grande disco, come sempre del resto.
Ti è mancata l’Italia?
Non è che sono sempre stato in India negli ultimi anni. Ci sono stato con la mia donna ed era coinciso con un momento in cui non volevo scrivere più musica. L’altra volta che mi era capitato era stato a metà anni 90 e non volevo fare più il cantante in una band. Quindi ci ho messo un anno per capire che volevo essere davvero un cantautore.
Eppure nel tuo disco non c’è nulla che richiami al suono dell’India.
Non sono come Morgan che ascolta Mozart e si sente nella sua musica. Io ascolto quello che voglio, ma poi faccio dischi rock, è l’unica cosa che mi interessa.
Devi riconoscere che ci sono molte influenze degli anni 80 in questo album.
Certo, ma non è un’operazione nostalgia. Ho usato dell’elettronica e delle chitarre che richiamano quel mondo. Ho messo anche 3 strumentali perché nel racconto del disco ci stavano bene e anche se non volevo fare un concept album, ci stanno bene.
Come hai visto l’Italia da lontano?
Non sono fuggito dall’Italia, piuttosto ho staccato. Mi sono reso conto che ci si lamenta e non si fa niente, ma allora perché non ripartiamo, non agiamo? È un posto fantastico. Anche per la gente che c’è.
La copertina di questo disco è molto intimista e seria. Come mai?
È un disco del ritorno, prima mi piaceva fare il cool milanese colorato, ora mi piaceva l’immagine dell’esposizione in prima persona, con la faccia in bella vista. Come per dire, questo sono io.
Il singolo Me La Godo ricorda il mood di Vado al Massimo di Vasco. Sei d’accordo?
Certo, è una cosa che sento, lui è un mostro sacro del rock anche se ho detestato la sua cover di Creep. Detto questo odio anche chi si prende gioco di lui su internet, ci sono i ragazzini che non lo rispettano abbastanza. Che c’entra, anche a me non piace tutto di Dylan, ma resta un grande. Gli italiani sono troppo criticoni.
Sei ancora in bilico tra indie e mainstream?
Che ne so, credo di essere ormai mainstream e anche io sono in procinto di fare il primo maggio, poi ne parliamo. Non c’è molta comunicazione in Italia tra questi due mondi perché non c’è un festival che unisca tutto, da Vasco a I Cani. È un peccato.