“Ekùn” è un disco ampio, alto, esteso come la sua terra d’Africa. È un disco che alle macchine elettroniche di Alain Diamond si accosta la grandissima scrittura e maestria artigiana dei tamburi di un grande in tal senso: Bruno Genèro. Ultimamente in rete ci regala anche il video ufficiale nuovo di zecca per incorniciare “Dansa”, uno dei momenti più densi di ritmo ma anche di sentimento umano. Perché questo disco è un viaggio dell’uomo nell’uomo… impossibile spiegare il suono. Va sentito… va vissuto…
La percussione ci riporta inevitabilmente al tempo primigenio dell’uomo… vero?
Il tamburo che suono, djembe, strumento dell’Africa occidentale, territorio dell’epico ex regno Mandé (XIII sec.) è fatto di legno e pelle, due oggetti che suscitano dentro di noi emozioni profonde connesse a elementi della natura. Un tronco scavato e una pelle di capra ci conducono lontano, per scoprire un linguaggio ancestrale dalle vibrazioni universali. Penso che l’aspetto primigenio dell’uomo faccia parte della nostra genetica, non possiamo escluderlo ma abbracciarlo.
L’Africa è il cuore di questo disco. Ma con Alain che altro mondo ci regali o cerchi di raggiungere?
EKÙN è un album autobiografico, ogni brano corrisponde ad un’esperienza, un’avventura vissuta viaggiando in tre continenti con il mio tamburo. Vengo dalla musica e dalla danza africana, in questo progetto ho riunito la mia storia in una nuova forma. Mi sono ritrovato in studio di registrazione avendo i suoni del Mondo a disposizione, e questo è stato bellissimo. Con Alain Diamond, dj e producer, abbiamo fatto un gran lavoro per trovare un equilibrio fra le frequenze digitali delle macchine e quelle analogiche dei tamburi…ma la cosa più importante è stata ricreare le atmosfere che potessero raccontare le mie esperienze vissute in terre lontane, sintetizzandone i punti salienti con un “vestito all’occidentale”. Poi come spesso dico, l’uomo propone, la Musica dispone…
E perché questa connessione, questo dialogo? Uomo e macchina, passato e futuro… cosa?
L’obiettivo è stato creare un ponte tra i due mondi, da una parte l’Africa (uomo) e dall’altra la techno-dance-house (macchina). Ho lavorato sull’elemento che accomuna queste due musiche: il ritmo. Entrambe sono fatte per ballare, muoversi. In tutte le culture l’esigenza di esprimersi attraverso il corpo è di vitale importanza; in Occidente è la ricerca di uno stato di benessere o forma di comunicazione, in Africa la danza diventa espressione e meditazione del corpo.
A proposito di futuro: come si legge questa immagine di copertina? Di un uomo cosa conta davvero?
Volevo un’immagine che rappresentasse il connubio tra la parte umana, legata al tamburo, e la parte “aliena”, vicina ai suoni delle macchine. Ringrazio il fotografo e amico Davide Carrari e il grafico Giorgio Cappellaro per le loro proposte e il lavoro creativo. In questa copertina mi sono ispirato ad un segno di IFA (antico sistema divinatorio africano, dal 2008 “Patrimonio Immateriale dell’Umanità” tutelato dall’UNESCO). OYEKU MEJI, il Re della notte, dice: la luce scaturì da una scintilla nelle tenebre per illuminare il cammino. Gli occhi rivelano sempre l’essenza di un Essere… anche la musica racconta l’anima di chi la compone.
A proposito di passato: il disco si chiude con un solo dialogo di percussioni… che significato ha? Alla fine si torna alla verità dell’uomo?
L’ultimo brano dell’album si intitola AGOÏ, l’ho composto e dedicato ad una persona speciale incontrata sul mio cammino. Viaggiare per me è stato importante, ho scoperto altre culture, cibo diverso, ma soprattutto ho conosciuto me stesso e, questo mi ha permesso di esprimermi attraverso uno strumento che viene da lontano. Con il solo di tamburo conclusivo ho voluto comunicare in modo semplice, puro, l’essenza del mio linguaggio espressivo in cui Passato, Presente e Futuro diventano un tutt’uno.