É uscito il nuovo disco del duo veneto formato da Romeo Campagnolo e Matteo Marenduzzo. Ecco il ritorno dei Bob Balera con “Pianeti”, disco di antichi retaggi e nuove proposizioni, di bellezze nostrane e anche di quel gusto libero di pensare al suono e alla melodia. Sento fortissimo il bisogno di liberare una necessità, un peso, un bisogno: l’espressione musicale di questo disco, per quanto racchiusa dentro stilemi del pop ampiamente battuti, sprigiona quella verità e quella libertà che ci piace e si lascia sottolineare. Lo mettiamo in circolo e come sempre indaghiamo come nostro solito…
La musica che tipo di ruolo ha oggi? Domanda a bruciapelo visto che questo disco guarda molto al passato…
Credo che la musica, oggi come ieri, sia sempre necessaria per l’essere umano. Poi ci sarebbe da indagare sulla cultura musicale d’oggi, in Italia se non altro, sul ruolo che dovrebbe avere già all’interno della scuola, fin dai primi anni di vita, ma qui entreremmo in un terreno scivoloso e in riflessioni molto ampie e poco produttive. Di certo, nel tempo, per chi non vive la passione, credo la musica abbia assunto il ruolo di piacevole svago, di sottofondo gradevole. Lo dico con una certa amarezza, ma è senz’altro legittimo.
E dunque perché tanto passato dentro “Pianeti”?
Credo sia sempre fondamentale pescare dal passato, in modo più o meno evidente, per guardare al futuro. Certo noi lo facciamo smaccatamente, prendendo a piene mani dalla tradizione pop italiana, di elevatissima qualità artistica e melodica. Pare oggi elemento fuori moda, ma il nostro è una sorta di tributo ad una schiera di musicisti che abbiamo amato in passato come adesso. Poi ci appartiene una certa malinconia di fondo, e determinate sonorità ci toccano alcune corde intime più di altre.
Come forse è lecito anche chiedersi perché un così violento rivolgersi ai modi battistiani… ci sono momenti assai aderenti a quel modo di pensare alla canzone… o sbaglio?
Battisti rimane il nostro faro, così come anche Enzo Carella. Il primo è riuscito ad unire una miscellanea di generi agli antipodi nella sua carriera musicale, dalla canzone da spiaggia al prog, passando per l’elettronica anche sperimentale dei “Dischi Bianchi”, riuscendo sempre ad avere risultati sorprendenti; il secondo, purtroppo ancora decisamente sottovalutato, ha creato una perfetta alchimia tra funky e canzone d’autore, grazie anche al lavoro di Pasquale Panella.
L’Italia che c’era avete ampiamente saputo raccontarlo nonostante la produzione moderna… e secondo voi qual è quella che ci sarà?
Dal punto di vista musicale, credo sia già in essere un certo ritorno agli anni ’90, dal background più alternative, vedi le recentissime uscite di Verdena, Manuel Agnelli, Marlene Kuntz, Edda… ma allo stesso tempo un maggiore distacco, se non un completo scollamento, tra le nuove generazioni e le precedenti. Per il resto, sono molto curioso di scoprire vivendo l’Italia che sarà, parafrasando una celebre frase di Mogol.
E poi mi piace indagare sui colori che hanno i suoni… e dal vostro disco vengono fuori tonalità di marrone tenue, di terra… è un caso o solo una mia visione?
Non è con un colore la prima associazione che faccio ascoltando musica, ma penso sia tutt’altro che casuale quanto scrivi: il marrone, la terra, mi rimanda ad un’idea di fisicità, che permea tutti i brani dei Bob Balera, oltre ad evocare anche la stagione autunnale, malinconico passaggio dalla spensieratezza estiva ai rigori invernali.