Black Cat è l’neciclopedia di Zucchero, non c’è dubbio. Dentro il nuovo disco di Sugar Fornaciari c’è tutto il mondo black che ha amato negli ultimi decenni, le influenze globali che gli sono valsi la fama all’estero, la collaborazione eccellente di amici famosissimi (Bono e Mark Knopfler su tutti) e una certa dose di italianità che fa da sempre parte del dna del bluesman emiliano.
Black Cat non è uno stravolgimento dell’albero genealogico musicale di Sugar ma è un’update leggera e a volte riflessiva, ampollosa e scanzonata al tempo stesso del suo universo sonoro. Zucchero lo descrive così: «È un album libero come libero è il gatto. Il gatto è selvatico come questo album, i suoni sono ruvidi, marci, ma è anche un disco un po’ anarchico, perché il gatto non è così domestico, come può esserlo il cane. Il suono delle parole Black Cat mi è piaciuto subito e mi sembrava che fosse in sintonia con l’album stesso».
Quindi, dopo l’eplosione radiofonica di Partigiano Reggiano («hey, dopotutto io provengo da una zona rossa dove certe cose sono sempre state molto sentite», dice ora) arriva un disco che si contraddistingue per l’utilizzo di tre produttori e un dream team dietro gli strumenti di vero colpo. «Fondamentale è stato riuscire a dare alla fine un sound omogeneo, per far capire che i brani appartengono a uno stesso album, nonostante la produzione di tre persone diverse. Dopo la bella esperienza di “Chocabeck”, più intimista e in un certo senso “folk”, volevo fare un disco più rhythm and blues. Ci siamo divertiti molto, anche perché i musicisti, soprattutto quelli con cui ho lavorato a Nashville, lavorano come negli anni ‘70, ascoltando il provino 3-4 volte e operando sul brano come ci si sente di fare sul momento».
Zucchero alla presentazione del disco a Milano, ha anche descritto minuziosamente come ha scelto i musicisti che suonano in ogni canzone: «Ci sono dei batteristi che sono dei grandi accompagnatori e che vanno bene per alcune cose. Ma non si può utilizzare gli stessi musicisti per tutti i brani. Devi prendere qualcuno di adatto, ogni brano ha dei musicisti diversi, che è quello che ho messo in questo disco, d’accordo col produttore. Mark Knopfler non è stato chiamato perché è una leggenda, ma perché ha quel suono e quel modo di suonare con le dita, il tipo di arpeggio già sentito nei dischi con i Dire Straits che volevo avere io in Surrender».
Streets of Surrender è anche il titolo di una delle canzoni “esternalizzate” all’estero, visto che ha il testo scritto da Bono. «Dopo aver partecipato di sorpresa al loro show di Torino – dice Zucchero – Bono mi ha chiesto di disobbligarsi per il favore ricevuto. E io gli ho proposto di scrivere il testo su un pezzo che avevo pronto strumentale. Ci avevo cantato sopra in inglese maccheronico e volevo che rimanesse la parola Surrender. E lui ha rispettato la volontà, con una bellissima canzone che ricorda gli attentati terroristici».
L’altra collaborazione autoriale è con Elvis Costello, con cui Sugar aveva già lavorato ai tempi di Miserere.
“BLACK CAT” verrà presentato live da Zucchero a settembre, in anteprima mondiale all’Arena di Verona, nei suoi unici 10 concerti in Italia per tutto il 2016, prima tappa di un tour che impegnerà l’artista in tutto il mondo, compreso per la prima volta il Giappone. Quelli del 16, 17, 18, 20, 21, 23, 24, 25, 27 e 28 settembre saranno 10 serate in cui l’artista porterà in scena uno spettacolo unico (venduti già 70mila biglietti) su cui però vige il segreto per quanto riguarda gli ospiti. «Non ci ho ancora pensato seriamente, ma vorrei che ci fossero sorprese e anche dei giovani performer che magari in Italia non hanno molta visibilità». A luglio partiranno gli inviti, chissà chi ci sarà.