Niente di futuristico, niente di rivoluzionario. E diciamo anche che un disco come “From Now On” va letto più che ascoltato. Il suono di Beppe Cunico ormai lo conosciamo, in questa sede si snellisce di ricami eccessivamente ostinati, progressive, si dedica più all’opera rock in senso stretto, cerca più le orme di Peter Gabriel che dei Genesis tutti. Quel che lancia è un messaggio di grandissima luce nel futuro: le ceneri di questa società stanno seminando bellezza per il domani dei nostri figli (anche per questo si arricchisce il valore della dedica di quest’opera al figlio Paolo). Come sempre troviamo un gran lavoro speso anche in direzione dei video ufficiali che campeggiano in rete… come sempre pregiato lavoro di estetica per l’edizione in vinile che non deve mancare nella nostra discoteca. Da ora in avanti: il rock di Cunico pensa in grande.
Qui a Napoli viviamo la terra come confine e contaminazione. Il tuo nord invece? Che tipo di contaminazione hai vissuto per questo disco?
Dove vivo io non c’è contaminazione, se non quella che mi creo ascoltando musica, andando a concerti. In Veneto la buona musica è relegata nell’ underground, qui comanda l’ostentare, l’accumulare ed è orribile. Cerco di risvegliare la gente a porre più attenzione, valorizzare arte e cultura. Napoli, più di altre città, é un concentrato di contaminazioni ed è artisticamente bellissimo. Puoi mescolare le proprie origini con altre e creare, alle volte, qualcosa di unico e sorprendente, anche se c’è il rischio di perdere la propria identità. Aver vissuto due decenni, 70 e 80, in prima persona, ha inciso in maniera indelebile la mia ispirazione. Poi alcune vicissitudini mi hanno fatto aprire gli occhi sulle priorità e su cosa è veramente importante ed ho cominciato a scrivere e non riesco più a fermarmi. Ho già il terzo album quasi pronto.
Hai sempre uno sguardo al rock progressivo o comunque al grande pop rock d’autore internazionale… anzi inglese se posso essere più specifico. Perché?
Sono cresciuto ascoltando quella musica. Da piccolo ascoltavo Genesis, Pink Floyd, Yes, KK…..e poi ho vissuto l’esplosione punk e l’avvento della new wave, con Joy Division, Cure, Tears for Fears, U2…..negli anni 80 suonavo la batteria e poi per venticinque anni ho lavorato nel mio studio, come fonico e produttore e ho abbandonato la musica suonata. Poi un lustro di buio musicale… Ma il 26 aprile 2016, durante un concerto di Steven Wilson a Trieste, ho avuto una folgorazione: la performance allo stato dell’arte della band di Steven ha fatto risorgere in me la passione, sepolta da qualche parte e ho deciso che volevo diventare un cantautore. E vien da se che essere “inglese” sia una naturale conseguenza.
Del resto del mondo della musica? Ho anche l’impressione ci sia un pizzico di Africa in tutto questo suono… non trovi?
È bello che tu senta l’Africa e sono molto felice, significa che riesco a farti viaggiare con la mente nell’ascolto, riesco a portare l’attenzione in luoghi lontani o astratti. Mi piacciono molto Sigur Ros, Bon Iver, Iosonouncane, Verdena, quindi da casa mia, vado oltre oceano e ritorno. Cerco con l’ arrangiamento del brano di creare strati che, ascolto dopo ascolto, fanno scaturire sempre nuove dinamiche e sensazioni.
Da ora in avanti che cosa succederà? Torneremo tutti a vivere il presente?
Il messaggio di From Now On vuole sovvertire questo presente di superficialità, egoismo, avidità, deresponsabilizzazione, cinismo e lanciare un grido di ribellione. Vuole riportare la preparazione umanistica in primo piano, vuole far riscoprire la bellezza dell’essere artigiano, delle cose semplici, dell’amore sincero, e dire basta agli stereotipi moderni, voluti da quei “pochi “ che governano il mondo.
La musica, nel passato, è stato un mezzo potente di comunicazione e, nel mio piccolo, cerco di creare un futuro migliore per le prossime generazioni.
Quando suono e canto, mi lascio trasportare dall’emozione del concetto che voglio esprimere e se c’è magia, lascio anche le imperfezioni, perché così sono io. Stiamo attraversando un periodo di artifici e finzioni, soprattutto nella musica e voglio andare contro corrente, voglio tornare a quell’artigianalità persa per strada, all’istinto che,nel passato, ha portato la musica nella stratosfera.
Hai pensato di dare vita ad un disco interamente in italiano? Oppure l’inglese è la bandiera del “tutti”?
Non essendo io un cantante, ovvero diventato in età avanzata, l’inglese mi ha molto agevolato. Mi ha permesso di appianare parecchie lacune e creare melodie in maniera più semplice.
Ma è anche vero che, nelle piattaforme streaming, la maggioranza degli ascolti è all’estero e il mio genere è molto British oriented, quindi è diventata quasi una scelta obbligata. Ma il futuro non è scritto, quindi…