«Non si può dare un nome a tutto soprattutto se non vuoi distruggere la semplicità o l’impulsività dei tuoi gesti. Capita di essere cattivi tentando di essere buoni e viceversa. Capita di sembrare persone che non si è davvero. Capita di volersi bene senza mai dirselo una volta». Luca Galizia
Non è facile definire in poche parole Luca Galizia per il suo modo di fare musica e per il suo percorso artistico. Questo nuovo album dal titolo Benevolent ne è la prova. È rock e post-rock, si muove nell’underground e conquista la leggerezza del pop. Il titolo e le tematiche che affronta rappresentano la nuova disposizione d’animo con cui l’autore ha realizzato l’album che affronta le ansie, gli amori e le paure in una terra di mezzo tra l’età adulta e l’infanzia, tra i sogni e gli incubi.
Benevolent è stato scritto e composto tra il 2019 e il 2020, in piena pandemia e si avvale di collaborazioni storiche: Alvin Mojetta, Manuele Povolo, ClausCalmo, Jacopo Lietti.
Il disco è prodotto dal fedele socio artistico Carlo Porrini alias Fight Pausa che suona la batteria e anche da Giacomo Ferrari.
L’album si snoda in 9 tracce: Piccolo, Incubo, Aspetta, Lifevest, Bastone, Riverchild, So, Paura di, Recinto.
Perché questo titolo Benevolent?
«Questo termine rappresentava un che di oscuro ma anche di buono e di gentile. Sono sempre stato un appassionato di storie e leggende giapponesi e ricordo un personaggio di nome Benevolent K, ovvero una creatura lacustre che diventa però un amico, un confidente. Può essere un cattivo mascherato da buono e viceversa. Rappresenta al meglio l’ombra e la facciata del disco. Il mostro potete vederlo sulla copertina e tutto il progetto dell’album nasce dalla necessità di protezione dai demoni della vita e ovviamente dai nostri».
A quali mostri fai riferimento nel disco?
«I mostri possono essere le cose buone o le cose cattive della vita come per esempio non saper gestire il dolore o l’euforia. Un altro esempio può essere dato dal fatto che sono contento che il 18 marzo uscirà il mio album ma c’è la guerra, oppure come gestire i contatti durante il Covid o ancora sentirsi come uno di serie C . Si possono ricevere macro sensazioni dai mostri e puoi darti una facciata differente. Io mi figuro diverso da quelli che stanno intorno a me».
Cosa ci dici delle sonorità dell’album?
«Ho cercato di fare una sorta di escursione a tutto tondo su tutto quello che voglio esprimere. È un disco che si ispira a come volevo fare musica a 15 anni. Mi ha molto ispirato la musica degli anni ‘90».
Quanto ha influito la pandemia sulla scrittura dell’album?
«La pandemia è stata come una sorta di segnalibro. Ho iniziato a scrivere poco prima del Covid e per quanto riguarda i testi essi hanno un po’ risentito della frustrazione dettata dalla situazione generale. Tuttavia il disco ha un che di liberatorio».
Quando inizierà il tour?
«Ad aprile e la prima tappa sarà Torino».
Il disco sta a metà tra l’età adulta e l’infanzia, tra le cose buone e le cose cattive. Cosa pensi dell’infanzia?
«Non so se esistono bambini cattivi o se i miei genitori mi reputassero tale. Non dipingo l’infanzia come una stagione felice nei miei ricordi di adulto».
Nell’album ci sono due brani strumentali: Aspetta e Riverchild. Ce ne vuoi parlare?
«I due brani hanno per così dire una chiave di accensione simile. Ho messo parti composte per chitarra su partiture di altri strumenti. Traspare in ogni nota la mia scrittura chitarristica su altri suoni come se ci fossero degli strati. Riverchild è forse il brano che rappresenta al meglio l’album perché è il mostro buono che abita ogni canzone. È costruito su un giro di basso pizzicato ed ossessivo e ricorda un po’ una marcia suonata forse da bambini arrabbiati o magari dal mostro stesso della laguna. Posso parlare anche di altri brani che compongono l’album. Ad esempio Incubo è un pezzo rock, un rock che dà sicurezza. Piccolo è stato scritto pensando ai peggiori giorni di terapia. Recinto che chiude l’album è invece il primo pezzo che ho scritto nel 2019. Lo definisco un pezzo fantasmagorico e un po’ dark».
Con chi vorresti collaborare in un prossimo futuro?
«Non saprei. Non sono riuscito per il momento a coinvolgere in un mio progetto artisti stranieri. Non mi reputo un esterofilo. Vedremo».
Hai mai avuto la sensazione di essere più adulto rispetto ai tuoi coetanei?
«Questa cosa la reputo un complimento e l’attribuisco forse agli ascolti fatti e alle esperienze vissute. Posso dire però di avere fan di 17 anni e la cosa mi piace molto».