Ben Slavin è un cantautore del New Jersey che, però, dopo aver iniziato con la musica lirica ed essersi laureato in canto presso l’Arizona State University ha deciso di trasferirsi a Milano. Ben è anche un artista a 360 gradi che, dopo prestigiosi festival e programmi radiofonici sia in Italia che negli States ha voluto incidere il suo primo cd a Napoli grazie all’etichetta discografica indipendente Apogeo Records.
Dall’America a Napoli: ammetterai cheè abbastanza atipico…
«Apparentemente magari può sembrarlo, ma c’è da dire che oramai sono da tantissimi anni in Italia. Prima sono stato a Milano, poi Bologna e infine mi sono ritrovato a Napoli. Ero qui sotto contratto, quando poi è finito il contratto è continuata la mia voglia di restare a vivere in questa città.»
E a Napoli hai deciso anche di incidere il tuo primo disco grazie alla Apogeo Records…
«Si, esatto. Ho conosciuto Andrea De Rosa dell’etichetta un paio di anni fa. Mi sentì suonare, ascoltò una vecchia demo e gli piacque il mio lavoro. Ecco che abbiamo deciso di fare un disco insieme: la nostra empatia è stata fondamentale per questo lavoro.»
Un lavoro che hai intitolato Palepolis: cosa significa?
«Palepolis è la vecchia città di Napoli che io canto sperando in un inizio nuovo per questa città. Partire dalle vecchie origini per dare a Napoli una seconda opportunità e tutti noi sappiamo che tutto questo potrebbe accadere sul serio.»
Com’è essere un “americano a Napoli”?
«Meraviglioso. Ho avuto fin dall’inizio un impatto molto forte. Ci si rende anche subito conto della vecchia e attuale situazione della forte immigrazione. Il sud e questa città è diversa dal resto dell’Italia: o la ami o la odi. In tutti e due sono due sentimenti fortissimi.»
È difficile essere un musicista a Napoli secondo te?
«Dal mio punto di vista oggigiorno il musicista lo puoi fare ovunque. Questa tendenza di andare a Brooklyn è anacronistico secondo me. In questo momento anche New York ha perso il suo lato artistico: ci sono soprattutto sceicchi e broker, per cui fai tu. Chi fa musica ha bisogno solo del suo strumento e del pc. Ecco perché non credo sia difficile essere musicista a Napoli.»
Nel tuo cd racconti in americano dei tuoi incontri napoletani: cosa pensi che recepiscano tutti quei napoletani che non conoscono l’inglese?
«Io suono e canto il mio punto di vista, quando faccio un concerto però non suono solo pezzo dopo pezzo. Faccio uno spettacolo, mi racconto. Ecco che credo la questione della lingua diventi secondaria.»
Una delle tracce più belle è Home, che storia c’è dietro questo brano?
«Ho preso artisticamente spunto dal film con Marcello Mastroianni “La pelle”, ma poi ho raccontato la storia di mio nonno che da italiano si è trovato a combattere al fianco degli americani. ho scritto così delle sue difficoltà, una realtà a mio parere struggente quella che si è ritrovato ad affrontare.»
Ti hanno definito un cantante folk, sei d’accordo con questa definizione?
«Folk vuol dire del popolo, tutto ciò che ci appartiene è folk. Per cui mi ritrovo in folk, ma io definisco la mia musica chamber rock, ovvero un misto tra i vari generi.»
Hai già in programma dei live?
«Inizio ovviamente da delle date in Campania, poi andrò in Spagna. Sicuramente quest’estate ci saranno date in Inghilterra e poi negli States.»