“Bello dove stavano gli hippies” è il quarto album dei Tabaccobruciato, pubblicato dall’etichetta Ultra Sound Records e disponibile in tutti i negozi di dischi e webstore. Il disco contiene undici brani che spaziano dal blues al country rock. I testi e la musica sono a cura di Giorgio Angelo Cazzola, suoni e mixaggio di Stefano Bertolotti, arrangiamenti di Stefano Bertolotti, Roberto Re, Lorenzo Bovo e Alessandro Ballatore. Il nome del gruppo Tabaccobruciato è un richiamo al colore delle chitarre che hanno contraddistinto gli inizi del blues, il tobacco sunburst. Il gruppo è composto da Stefano Bertolotti (batteria e percussioni), Roberto Re (basso), Alessandro Balladore (chitarre), Lorenzo Bovo (tastiere) e Giorgio Angelo Cazzola (voce) col supporto delle le voci femminili di Nadia Braito e Karoline Taraldsøy.
Proponete brani con sonorità che si alternano dal blues al country rock. Quali musicisti hanno influenzato il vostro modo di fare musica?
«Un’infinità di autori, da ogni parte del mondo. Ma la musica di riferimento è quella che si ascoltava negli anni settanta: un crogiuolo di rock, country rock, folk rock, ballate, canzone d’autore e musiche popolari. Se devo fare qualche nome, parlando da compositore dei brani del gruppo, escono quelli che preferivo e che preferisco ancora: Paul Simon, James Taylor, Glenn Frey e Don Hanley, Djavan, Vinicius De Moraes, Lucio Dalla, Nino Ferrer, Ivano Fossati, Bernard Lavillers, Jacques Brel. E tanti altri.»
Cosa rappresenta per i Tabaccobruciato, dal punto di vista musicale, il nuovo album “Bello dove stavano gli Hippies”?
«Il tentativo di rendere più omogeneo e personale il suono. Abbiamo rinunciato alle incursioni di strumentisti ospiti e ci siamo concentrati sul come “far rendere” i brani. Stefano Bertolotti, Roberto Re, Alessandro Balladore e Lorenzo Bovo, a mio parere, sono riusciti a dare il colore giusto alle canzoni, a rendere l’atmosfera ideale per ogni brano.»
Com’è nata la canzone d’apertura del cd “Bello dove stavano gli Hippies”?
«Conversando con Nathalie Lesjean, la padrona di casa della “Jabotte”, un incantevole piccolo albergo di Antibes. Le camere si affacciano su un patio, l’atmosfera è rilassante, circolano due splendidi gatti e un cane che si chiama Hush (in onore al brano dei Deep Purple). Un giorno dell’estate di due anni fa le ho detto:” Che bello se questo posto fosse stato un comune hippie”. E lei “Ma questo posto è stato una comune hippie”.»
“I ragazzi di ieri” è un travolgente brano rock che parla dei giovani degli anni 70 -80 carichi di sogni. È un pezzo spensierato?
«È una riflessione dolceamara. Come dolceamara è la vita. Però la spensieratezza della musica ci sta tutta. Perché, come scriveva Guccini “il ricordo cambia in meglio”.»
Per ogni artista i luoghi d’origine sono la linfa vitale per comporre, nel vostro caso il pavese. Qual è il legame con la vostra terra?
«Forte. In alcuni casi fortissimo. Ad esempio in “Hola Cristina”, dove il legame è di rimando. Cristina è la nipote del fratello di mio nonno, emigrato all’inizio del ‘900 in Argentina. E’ riuscita, negli ultimi anni, a mettersi in contatto con tutti i parenti al di là dell’Oceano. Ci scriviamo regolarmente e ogni volta lei conclude con questa frase:” Espero volver pronto a tu tierra. En tu tierra que también es mi tierra”. (“Spero di tornare presto nella tua terra che è anche la mia terra”.»