Al cinema Alcazar di Roma il regista Salvatore Mereu presenta “Bellas Mariposas”. Il film è tratto dall’omonimo romanzo di Sergio Atzeni e vede nel cast Sara Podda, Maya Mulas, Luciano Curreli, Rosalba Piras, Maria Loi, Davide Todde, Simone Paris, con l’amichevole partecipazione di Micaela Ramazzotti.
La trama racconta di Cate, una ragazzina di undici anni che vive alla periferia di Cagliari con suo padre e tanti fratelli. Il suo più grande desiderio è di fuggire per raggiungere il sogno di fare la cantante. Non vuole finire come sua sorella Mandarina, rimasta incinta a tredici anni, o come Samantha, la ragazza oggetto del quartiere. Solo Gigi, un vicino di casa, merita il suo amore. Ma la vita del ragazzo è in pericolo, poiché Tonino, uno dei fratelli di Cate, vuole ucciderlo. Intanto Cate trascorre con Luna, la sua migliore amica, il giorno più lungo della loro vita, tra il quartiere, il mare e le strade del centro. Quando scende la sera, tutto sembra perduto, ma dal nulla compare una bellissima donna: Aleni, una strega capace di leggere il futuro delle persone.
“Bellas Mariposas” è un progetto importante, degno di nota, in cui realismo disperato e magia si combinano come in una pala d’altare. La protagonista ci racconta il suo mondo, costantemente minato dalle continue sopraffazioni degli adulti. Un film sulla quotidianità, sul rito, sulla Sardegna, non quella di cui se ne parla su tutti i tabloid, regno di gente ricca e famosa. Il regista fotografa la realtà di un paesino della provincia di Cagliari che in parte riecheggia Scampia con il suo Gomorra, dal quale sicuramente non traspare una voglia di demolire un territorio, ma semplicemente di portarlo alla luce come un reperto archeologico.
Salvatore Mereu è molto abile con la macchina da presa. Il suo è un cinema che va dal documentario al noir, unendo trame pulp a poesia pura. Ci si chiede come mai l’Italia porta avanti solo i film sicuri al botteghino, e non si cimenti nel rischio di puntare su progetti meno dispendiosi ma con significanti intrinseci profondi, capaci di emozionare e regalare anche un sorriso, non provocato da facili battute o donne nude, o personaggi rudi e cafoni da bassa lega. Questo è il cinema, questa è la base da cui bisogna obbligatoriamente ripartire, tentando di far risalire il livello culturale del Paese. È importante affacciarsi ad una realtà così difficile come quella che ci mostra il regista, per capire ed accettare le differenze di un popolo che sembra quasi voler dimenticare continuamente ciò che ci appartiene. La protagonista di questa pellicola, è una ragazzina realmente esistente, eccezionale per spontaneità e sincerità da far invidia alla miglior attrice di accademia.
Intervista al regista Salvatore Mereu
Come nasce l’idea di tradurre in immagini l’omonimo romanzo di Atzeni?
«Qualche anno fa leggendo per la prima volta Bellas mariposas, sono rimasto abbagliato. Tanto dalla trama, lieve e terribile, e dal modo in cui si dipana, quanto dalla forma, musicale e inusitata soprattutto nell’adozione spregiudicata della lingua del luogo. Mai, nella letteratura sarda, tanta grazia e tanta leggerezza si erano coniugate ad accadimenti anche drammatici ogni più piccolo episodio della giornata di Cate e di Luna, anche quello più vicino alla peggior cronaca, è sempre stemperato da un’ironia sottile e da una capacità di sorridere di se stessi rara nella nostra letteratura e nel nostro vissuto almeno quanto l’intrusione continua della lingua parlata in quella scritta. In questo Atzeni può essere considerato, a buon diritto, l’apripista, il padre della nuova letteratura isolana, per esplicita ammissione anche di coloro che lo hanno succeduto e a cui hanno manifestato dichiaratamente di ispirarsi. Eppure qui sta il paradosso, l’errore più grande: trattare Bellas Mariposase Sergio Atzeni solo come una faccenda isolana da dibattere tra conterranei. Le “zazies” di Atzeni (che si aggirano nella città di Cagliari come quella di Queneau faceva a Parigi) potrebbero avere ugualmente vita allo Zen di Palermo, a Scampia, o nelle periferie di Caracas.»
Per questo film hai scelto l’auto-distribuzione…
«È un’esperienza interessante ma nello stesso tempo molto difficile. Oggi, per un regista che parte da zero, è fondamentale la partecipazione ai festival, al fine di promuovere e distribuire il film. Il vecchio modo di fare cinema è ormai morto, quindi se non ci si attrezza anche con i propri mezzi e non si è disposti a fare dei sacrifici, il film resterà nel dimenticatoio. Per questo motivo ho deciso di occuparmene io. La pellicola ha raggiunto un numero importante di spettatori, grazie al passaparola, senza un grande traino promozionale. “Bellas Mariposas” ha vinto un premio a Rotterdam che gli assicura la distribuzione in Olanda e in Belgio e quasi sicuramente andrà anche in Portogallo. Purtroppo quello che ancora non riesco a capire è il perché in Italia non ha avuto lo stesso riscontro, la stessa attenzione.»
È stato facile girare in una realtà così difficile?
«Mi sono trasferito per un periodo di tempo in questo paesino in provincia di Cagliari. Ho potuto capire progressivamente chi poteva realmente darmi la base, il pilastro della mia pellicola. E, in veste di insegnante, sono entrato a contatto con i ragazzi, li ho conosciuti a fondo, ho fatto loro vari casting e abbiamo provato nella palestra della scuola.»
Quindi com’è avvenuta la scelta delle due protagoniste?
«Quando decisi che Sara Podda (Cate) e Maya Mulas (Luna) sarebbero state le due protagoniste, feci leggere il racconto ai genitori. Dopodiché le sottoposi ad una serie di prove per accertarmi che fossero proprio ciò che stavo cercando. Ho inoltre avuto la possibilità di girare in ordine cronologico, in modo da creare una vera empatia, amicizia tra le protagoniste. Non avendo una vera e propria sceneggiatura, l’unico collante narrativo era la giornata che scorreva. Gli attori non professionisti non avrebbero avuto gli strumenti per sorreggersi sulla recitazione.»
Come hai trovato i fondi per la realizzazione del film?
«Non essendo un regista con grande potere contrattuale, ammetto che mi sono meravigliato per la collaborazione dei vari enti che hanno creduto al progetto. Per prima cosa abbiamo portato il film al Ministero, abbiamo trovato le risorse in Sardegna, e poi è entrata in soccorso Rai Cinema che ci ha permesso di chiudere il cerchio. Ringrazio di cuore a chi ha creduto in me e in questo progetto.»
Che tipo di sguardo hai avuto su questa realtà. Ti sei immerso senza giudicare o inizialmente sei rimasto un po’ stupito di un mondo totalmente estraneo alle tue origini?
«Non ho avuto compassione, è un mondo vitale con una straordinaria forza di guadagnarsi la vita giorno dopo giorno. Assolutamente non ho giudicato. Le persone del posto hanno la capacità di sorridere della propria condizione, anche se alcuni hanno creato imbarazzo sul set, provando a trarre vantaggio da una situazione come questa. Avevano capito che con il film potevano camparci, e cercavano di allungare la lavorazione disturbando il nostro lavoro. È un esperienza che rifarei senza il minimo dubbio.»