Come si possa credere di mantenere il riserbo sulla propria identità sessuale quando si canta vestiti come un lampadario delle corti barocche? E’ un mistero e ogni generazione ha il suo “lume”. Ma prima di Miguel Bosé, prima di Elton John e anche prima di Madonna e Lady Gaga c’era Liberace. Valentino Liberace fra gli anni ’50 e ’70 è stato l’artista con il più alto cachet al mondo. Era un grande showman, aveva talento, ricchezza, fama e si credeva un Dio verso cui la Vita aveva un occhio di riguardo. Morì, però, all’età di 67 anni per complicazioni dovute all’AIDS, la sua condizione venne tenuta celata al pubblico e non si seppe mai né come né quando avesse contratto il virus. Inoltre, rifiutò sempre di fare coming-out denunciando (e anche vincendo la causa) il Daily Mirror per aver insinuato che fosse gay. Lee, così veniva chiamato dagli amici, attribuiva queste dicerie dall’osservazione superficiale dei suoi abiti di scena. Oltre a questi, erano sue mascoline caratteristiche i pianoforti glitterati e luccicanti con sopra candelabri dorati e ben visibili. Liberace ebbe molti protégé giovani e belli e per sei anni instaurò una relazione tormentata con il giovanissimo Scott Thorson che, all’epoca del primo incontro, aveva 16 anni, quaranta meno del cantante. E proprio dal suo libro autobiografico è stato tratto il film omonimo Behind the Candelabra di Steven Soderbergh con i bravissimi Michael Douglas e Matt Damon. Douglas, per l’interpretazione di Liberace, ha anche vinto un Emmy come miglior attore. Come raccontano i protagonisti, la pellicola ha avuto in America una difficile distribuzione perché considerata troppo gay ed è quindi uscita direttamente per il canale televisivo HBO mentre in Europa il film è stato selezionato per partecipare in concorso al Festival di Cannes. Dietro i Candelabri mostra una realtà hollywoodiana eccessiva ma anche noiosa in quanto regolata dagli stessi dettami di noi comuni mortali. La libertà (soprattutto quella mentale) non va di pari passo con la notorietà e la tranquillità economica. Quando si è piccoli si è piccoli nel profondo anche quando ti credi una divinità. Liberace, poi, chiese al suo tot-boy di rifarsi a sua immagine e somiglianza in modo da poter suggerire un rapporto di parentela piuttosto che uno ben più carnale. Pochi mesi dopo l’operazione, Scott veniva buttato fuori di casa in pigiama e sotto un cappotto di visone per cedere il posto ad un altro più giovane. Ma si sa, siamo solo uomini ed inciampiamo continuamente ed è cosa complessa capire perché due o più persone si uniscono tanto che lo stesso Thorson afferma che rifarebbe tutto e che solo la fine è stata orribile. Il film, a tratti un po’ lento, fa capire che cambiando la copertina non cambia il contenuto del libro per cui, come sempre, il finale è più teatrale e doloroso quasi da farci dimenticare il percorso di mezzo che si costruisce giorno dopo giorno rinunciando e mettendo da parte la perfezione e la sua assurda ricerca. Scott e Liberace, come tutti noi, l’hanno dovuto comprendere a proprie spese.
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