È la diversità di genere a far da sfondo ad una vicenda di intima connessione con la vita di ogni giorno. Beatrice Campagna ci regala la visione di “Coming Out” vincitore del “Premio del pubblico Sabato” alla VI Edizione dell’Aprilia Film Festival di Roma. Ripescando a piene mani dall’esergo del film: “oltre ad essere il titolo del corto, “Coming Out” è anche il primo locale gay di Roma, dove sono state effettuate le riprese, situato davanti al Colosseo. In questo luogo, fervono i preparativi per uno degli eventi più importanti dell’anno: il Pride, la parata che termina la sua corsa nella stessa via del locale, San Giovanni in Laterano. Lisa, una donna di 38 anni, ha fondato e gestisce il “Coming Out” da più di vent’anni ma, quest’anno, per lei, si respira un’aria diversa. Per la prima volta, infatti, non trascorrerà questo giorno con la compagna Gaia e il loro bambino. La separazione è ancora fresca, la loro storia andava avanti sin da quando erano adolescenti e i nuovi equilibri familiari si stanno ancora formando. Lisa continua ad organizzare i preparativi, riflettendo sul passato e mischiando i propri ricordi con i suoni e i colori del Pride (in questa sequenza, si evidenziano anche le riprese ad Anguillara). La storia narrata lascia immergere il pubblico in una dimensione intima e personale, trattando tematiche di estrema attualità con una sensibilità nuova e un punto di vista originale e autentico”. Parlando di cinema e d’intorni…
Cosa fa il cinema che altri linguaggi non riescono, secondo te?
Il cinema, fondendo scrittura, immagini e suoni è la più completa delle arti e mi permetto di dire che è anche quella che, dal momento in cui è nata, ha la responsabilità più grande, perché, potenzialmente, può parlare davvero a tutti.
Esiste un momento preciso nella vita di una persona in cui è salvifico fare Coming out secondo te? È un tema che trovo sempre molto represso nel linguaggio privato di ognuno di noi… e questo non solo per tematiche come questa…
Credo debba avvenire idealmente nel momento in cui ci si sente “scomodi” nei propri panni, quando nel pensare, dire o fare certe cose non si è sereni e si ha paura del giudizio. Come dici tu, quello del fare “coming out” può essere un concetto molto ampio, paragonabile a molte cose. Ad esempio, rivelare una propria fragilità, i sentimenti più profondi, soprattutto se negativi, può essere molto molto difficile, perché si ha paura di tradire le aspettative degli altri. Ma una comunicazione sana, un dialogo aperto, sono l’unica salvezza che abbiamo.
Ma ha senso dirti che in fondo, l’omosessualità è solo una cornice di questo lungo racconto? Forse un tassello degli ingranaggi ma non il centro…
È assolutamente così. I temi principali del corto sono la famiglia e l’amore osservato all’inizio e alla fine del suo percorso.
Perché un cortometraggio? E come si sceglie il “formato” di una storia? A prescindere o viene strada facendo?
Film e serie tv hanno una gestazione molto lunga e devono allinearsi i pianeti affinché una sceneggiatura possa effettivamente tradursi in un prodotto audiovisivo. E’ un processo molto difficile. Il cortometraggio ha un percorso produttivo sostenibile da una produzione indipendente e tempi di realizzazione potenzialmente molto veloci. Se si vuole avere la certezza di vedere un’opera realizzata, e in tempi brevi, l’unica strada è quella del corto, che peraltro, in certi casi, può servire all’autore come “prova di concetto” per mostrare le potenzialità di una determinata storia. E’ successo infatti che da cortometraggi siano poi stati tratti dei lunghi.
Che musica c’è dietro le immagini? Come l’hai scelta?
La musica è molto importante in questo corto, perché accompagna sia il presente che i ricordi, legandoli. Le tracce sono di Lilla Fiori, mentre la canzone che c’è sul finale, “Scema”, è di una giovane cantautrice che si chiama Paola Consagra. L’ho ascoltata casualmente ad un live in un locale e ho trovato che il brano fosse perfetto per il mio corto. Lei è stata molto gentile a concedermelo.
Oggi, questo film, parla… a chi, secondo te?
A tutti, davvero. Non è indirizzato a un pubblico specifico. Penso che tante persone possano empatizzare con le protagoniste, ritrovandosi in qualche aspetto del racconto.