Molto è stato detto sul collettivo della Bandabardò, che dalla Toscana negli anni 90 si fece conoscere con il uso folk rock per certi versi militante e sicuramente indipendente. Sono di sinistra, sono anarchici o rivoluzionari? A Enrico Erriquez Greppi (cantante) e Andrea Orlandini (chitarrista) i comparti stagni non piacciono. Per questo lanciando il nuovo album L’Improbabile ci hanno concesso una chiacchierata dove parlano di politica, ma in modo lontano dagli schemi e dalle etichette.
La prima cosa che risalta è l’etichetta del nuovo disco, non più una casa indipendente.
«Siamo consci che questo passaggio alla Warner ci ha creato delle polemiche, perché sui social network la gente pensa sempre che un artista si venda quando passa a una label che vuole decidere anche il tuo stile di vita. In verità con la Warner abbiamo stretto subito un legame fatto di persone, non è più come un tempo, quando il discografico entrava in studio e ti zittiva dandoti le ricette. Il disco era già pronto quando abbiamo fatto l’accordo.»
È finita un’epoca?
«Ci siamo solo resi conto che volevamo dare a L’Improbabile una visibilità e distribuzione adeguate, un modo per fare un video e permettere a tutti di essere a conoscenza di quello che facevamo. La nostra esperienza con il mercato indipendente va molto indietro nel tempo, quando ancora alcune cose si potevano fare bene. per noi questa è un’opportunità.»
Nel disco c’è la canzone E Allora il cuore con Alessandra Contini de Il Genio. Come vi siete conosciuti?
«È meglio dal vivo che in video dobbiamo ammettere. Volevamo conoscerla per la sua bellezza e sensualità, ha un qualcosa di francese nel suo modo di cantare, una vera artista. Si è avvicinata a noi come cantante e bassista, ha lavorato in varie forme su 8 pezzi del disco. Ha fatto cori alla Beach Boys ci ha messo del suo, insomma. Poi è crollata sul divano e ci ha detto che era cotta! Ma è stata una collaborazione molto intensa.»
Cosa è più importante per voi quando collaborate con altri artisti?
«L’educazione e personalità. Poi la voce di Bandabardò è stata sempre molto grossolana e maschile e ultimamente ci è piaciuto fonderla con altre esperienze come il progetto Turkish Cafè o il disco che abbiamo fatto con i tedeschi 17 Hippies.»
Fate molta attività live anche all’estero. Cosa capiscono?
«In Germania ci hanno detto: non capiamo le parole ma voi ci parlate con gli occhi, ed è questa la cosa più bella. Poi in Canada siamo sempre accolti benissimo, molta attenzione per i gruppi stranieri, ossequioso rispetto per tutte le proposte. Ci viene da pensare che è meglio questo pubblico che il magma indefinito delle rappresentazioni televisive italiane.»
Non siete mai andati d’accordo col mainstream, voi…
«Beh, non sappiamo veramente se è quella una dimensione adatta. Abbiamo fatto un passaggio su Rai Due al vecchio programma Scalo 76 e ci è sembrato fosse un altro mestiere, non aveva nulla a che fare col nostro modo di fare performance. Ore di prove per un pezzo di 3 minuti, preferiamo il live dove puoi esprimerti e puoi fare anche degli sbagli, ma almeno è vero. Abbiamo detto 3 volte no a Sanremo, urtando non poche persone…»
Eppure siete molto amati dagli addetti ai lavori, come lo spiegate?
«Non è del tutto vero, anzi dipende. Quando abbiamo incontrato Zucchero a stento ci salutava, poi ci ha visto al concertone del Primo Maggio e ci ha fatto festa. È come se stare in una situazione come quella ci desse legittimazione. Abbiamo incontrato Ligabue e ci siamo presentati, tutto quello che ci ha detto passando è stato: so chi siete.»
E della critica che dite?
«Che in Italia c’è una stampa specializzata povera se confrontata con quella estera. Non si sono mai appassionati al nostro discorso, non sono mai andati in profondità, ci vedevano suonare alla festa dell’Unità e ci hanno etichettato come comunisti. La verità è che non abbiamo nemmeno un’idea comune a livello politico, siamo tanti nella band e tutti hanno un’opinione.»
La genesi de L’Improbabile però è stata a casa di Jacopo Fo. È un’indicazione politica questa?
«Tutt’altro, perché la sua residenza, Alcatraz, è un’università di libero pensiero dove ci siamo rifugiati per fare per la prima volta un disco non tematico. Si parla di tutto, dei difetti dell’Italia e del non rientrare nelle etichette prestabilite. Siamo sempre convinti che ci sia un buon motivo per una sana incazzatura, qualsiasi sia l’argomento trattato. In alcuni brani, come C’è Sempre un Buon Motivo, ne discutiamo con ironia. In Italian Expo lanciamo uno sguardo su chi siamo sulla base delle nostre esportazioni umane. Da Madonna a Marlon Brando, da Tarantino alla Sarkozy, non si capisce quale sia il carattere comune degli italiani. Siamo troppo individualisti.»
Anche il vostro pubblico è molto vario.
«Siamo convinti che siano di varia estrazione e con grandi aspettative. Siamo per il partito del buonsenso, non siamo una band con i fronzoli e questo piace. Non suoniamo per chi vota questo o quello, non siamo un gruppo politicizzato ma socialmente attivo. Sembra banale, ma abbiamo grande rispetto per chi ci dedica tempo e soldi per venirci a sentire. È un grande riconoscimento e ci sentiamo grati, specie quando andiamo nei posti dove si fanno pochi concerti e la gente ci ripaga con grandi complimenti.»