In scena in questi giorni, all'interno del Campania teatro Festival nella sala da Ballo del museo di Capodimonte
“Ballet des Porcelaines” o il “Principe della Teiera”, un autentico gioiellino settecentesco francese, è in scena in questi giorni, all’interno del Campania teatro Festival nella sala da Ballo del museo di Capodimonte.
“Ballet des Porcelaines”, riportato alla luce da una studiosa statunitense e presentato qui a Napoli, in prima assoluta nazionale, grazie alla sinergia tra un gruppo coreutico asiatico-americano (coreografo Phil Chan) e i musicisti dell’Ensemble Barocco di Napoli, capitanato dal flautista Tommaso Rossi.
Un evento di indubbia rilevanza culturale, oltre che di grande raffinatezza ospitato alla Reggia di Capodimonte che, d’altronde, con i suoi tesori d’arte e segnatamente di porcellane e ceramiche, ben si confaceva all’opera rappresentata, avente infatti come oggetto la passione per le porcellane orientali.
L’autore del “testo” di “Ballet des Porcelaines” (non proprio un libretto, trattandosi di una pantomima musicale, ossia di azione scenica muta caratterizzata da atteggiamenti gestuali e danze) ne fu il “Conte de Caylus” (Anne Claude de Tubières-Grimoard), un personaggio originale e talentuoso che tra le sue molte passioni
(era anche proto- archeologo e collezionista antiquario) ebbe quella di attore e organizzatore teatrale, con una predilezione per la letteratura fiabesca e le fantasie orientali.
In tale guisa egli organizzò nel 1739 e in anni successivi un vero e proprio festival teatrale in un castello fuori Parigi (“Chateau de Morville”, dal nome del proprietario, conte di Morville, ossia Charles-Jean-Baptiste de Fleuriau d’Armenonville,
che a sua volta era stato Segretario di Stato per gli Affari Esteri, e che in verità era già morto nel 1732), i cui testi appaiono raccolti sotto il titolo di “Théatre du chateau de Morville”.
Il “Ballet des Porcelaines” eseguito a Capodimonte apre appunto tale raccolta, e racconta la storia di uno stregone cinese che governa un’isola esotica e trasforma gli intrusi in porcellana;
un principe rimane bloccato lì e viene subito trasformato in teiera, e allora toccherà alla principessa, vera eroina della storia, ritrovare il suo amato e riportarlo alla vita, dopo aver sfidato e vinto il mago con i suoi stessi poteri, ossia grazie alla bacchetta magica.
Ciò detto, in assenza di testi, come pure di qualsivoglia indicazione su scene, coreografie e costumi, il campo era aperto alla ri-creazione più completa dell’opera,
ferma restando l’esistenza della partitura musicale, firmata da un compositore dilettante e ai più totalmente ignoto (tale Nicolas-racot de Grandval):
il cui stile si può genericamente ascrivere alla temperie dell’opera-balletto francese, tenendo presente che siamo in anni coincidenti con l’affermazione del grande Jean-Philippe
Rameau,
e che c’è anche un contesto generale più ampio e più ricco di documentazione cui riferirsi, che è quello della fascinazione che l’Europa e la Francia in particolare subivano per la manifattura orientale della porcellana:
basti pensare alla coeva storia de “La Bella e la Bestia”, oggi universalmente nota attraverso la versione Disney, che appunto risentiva della medesima moda.
Beninteso, tali musiche sono molto semplici e sempre finalizzate al gesto coreutico; essenzialmente, quindi, una suite di danze alternate ad alcuni inserti strumentali, e precisamente: a un Prologo e un “ritournelle” caratterizzato da un inciso alquanto icastico,
succede l’ “Aria per l’arrivo delle porcellane”, che parrebbe essere il brano più rappresentativo della breve partitura, visto che lo si riudirà anche dopo, sebbene eseguito in tempo più veloce; c’è poi l’aria (arie, s’intende, sempre strumentali e mai cantate) di ingresso del mago, pure caratterizzata da una cellula tematica affatto peculiare;
quindi una sarabanda al cui ritmo si sfidano il mago e la principessa, e poi ancora altri numeri, sempre all’insegna di una certa varietà ritmica; dunque di nuovo l’ “Aria delle porcellane”, stavolta eseguita come un Rondeau (quindi a struttura ABABA)
e infine, quando ormai i due eroi hanno trionfato e il mago è stato sconfitto, un “vaudeville”, con i tre protagonisti di nuovo in scena per una impegnativa coreografia d’assieme, e da un ultimo una vivace “contredanse”.
Mancando, francamente, delle competenze necessarie per giudicare le coreografie, che comunque ci sono parse molto eleganti e assai ben realizzate, vorremmo concentrarci sulla musica la quale, ripetiamo, è davvero semplice, per non dire scarna, con le sue melodie frammentate e i suoi ritmi capricciosi:
parente povera del predetto Rameau e poverissima rispetto, ad esempio, ad un Haendel dei Concerti grossi.
Oltretutto anche nella partitura c’erano delle lacune, ossia scene cui non corrispondeva alcuna musica, e alle quali si è supplito con inserti di musica contemporanea “Kintsugi” composta dal maestro Sugar Vendil, peraltro alquanto suggestiva.
E tuttavia, anche in queste pagine, peraltro impeccabilmente eseguite dall’ Ensemble Barocco di Napoli, che ormai può essere considerato un vero vanto musicale della nostra città, c’è del buono da notare e dell’intrigante da esplicare:
gli effetti “descrittivi” nella musica, per esempio, o ancor più, l’ornamentazione assai poco prescritta e da ricreare quasi completamente (e col giusto “gusto”), nonché il tipico fraseggio alla francese, con la caratteristica alternanza di note “egales” e “inegales”,
che costituisce la croce e delizia degli esecutori specializzati in questo repertorio, per non parlare dei tantissimi “affetti” ossia degli “stati d’animo” prescritti da una pletora di precise indicazioni verbali (“fureur”, “douleur”, “gay”, “tendrement”, “doux”, ecc. ecc.),
la cui sovrabbondanza davvero impressiona, soprattutto se confrontata con la laconicità di tutti gli altri parametri esecutivi (e
della musica stessa!).
Insomma, si è trattato di un spettacolo interessantissimo, di una perla davvero rara, un concentrato breve ma pregnante dello stile “nazionale” francese risalente a un’epoca che ovviamente non c’è più, ma che val bene la pena conoscere e studiare, o anche solo apprezzare e godere.