Sebbene i mondiali di atletica leggera di Pechino 2015 non siano ancora terminati, è prevedibile, dopo l’esclusione della “pantera” italo-cubana Grenot dalla finale dei 400 metri, che anche in questa occasione l’Italia non riuscirà a centrare, non dico il podio, ma probabilmente neanche una finale. E speriamo di essere smentiti dalle azzurre della 20km di marcia o magari da un autentico miracolo nel salto in alto maschile (in programma domenica).
Ora, è chiaro che l’Italia non può, e forse mai potrà vantare sprinter fenomenali come Bolt, Gatlin o la Fraser, né gli inarrivabili mezzofondisti africani kenyoti o etiopi. Però restare in classifica dietro ad altre nazioni, parimenti ‘bianche’ ma certo meno blasonate di noi, tipo Bosnia, Kazakistan, Afghanistan, fa proprio specie, per quella che è pur sempre la patria di Mennea, Simeoni, Baldini. E, a proposito di maratoneti, tanto di cappello a Pertile e Meucci, che a questo punto sono gli unici connazionali ad aver portato a casa finora qualche punto.
Come spiegarlo? Crisi di talenti? Una fase di “pigrizia” sportiva del popolo italico? Un’indolenza dei nostri giovani 2.0 rispetto a una disciplina che richiede strenui allenamenti e duri sacrifici? Non crediamo, altrimenti come giustificare i successi azzurri nel nuoto e nei tuffi, nella scherma, pallavolo, pugilato, arti marziali, ecc.?
Ma rinviamo un approfondimento sulla questione a dopo questi mondiali. Nel frattempo, in attesa del secondo supermatch tra Bolt e Gatlin nei 200 metri (giovedì 27), salutiamo ancora una volta i trionfi africani: la vittoria nei 1500 della piccola etiope Genzebe Dibaba, quella negli 800 del solito Rudisha (Kenya), quella della Jepkemoi (Kenya) nei 3000 siepi femminile, e ancora due super-sorprese keniote, quella del quasi esordiente Nicholas Bett nei 400 ostacoli (gara che ha visto anche l’esclusione dal podio degli specialisti americani, che però si sono presi la rivincita con l’argento e il bronzo nella gara femminile, vinta dalla cèca Hejnova), e quella del bassino (ma taurino) Jego Ten nel giavellotto, oro davvero sensazionale (mai l’Africa in questa disciplina).
Se l’Africa e in particolare il Kenya ridono, l’Italia si dispera, ma gli Stati Uniti quasi piangono per il medagliere ancora abbastanza esiguo e soprattutto per il clamoroso secondo posto del favorito Merritt nella finale dei 400 metri, gara strabiliante vinta a sorpresa dal giovane sudafricano Van Niekerk nel tempo stellare di 43′.48”.