Lo scorso 5 giugno 2014 ha debuttato nelle sale cinematografiche italiane l’opera prima del regista napoletano Massimo Piccolo: “Assolo”.
Un esordio che sembra quasi “presuntuoso”, una pellicola difficile che non accontenta un pubblico sterile ma che scava nel profondo: risulta impossibile infatti vedere questo film e dire di averlo capito facendo una lettura superficiale della storia.
In 77 minuti Massimo Piccolo racconta una vita, la vita del musicista Danny “Sweet Touch” e la vita di ognuno di noi. Ogni frammento di immagine evoca qualcos’altro. Sullo schermo viene proiettata una storia, allo stesso tempo le immagini e i frammenti di discorso ne nascondo un’altra.
Danny Caputo sta per realizzare il suo sogno: manca meno di un’ora al suo debutto a New York. Tanti i dubbi che assillano l’artista, ma come lui stesso spiega: «Rispondere alle domande è un po’ come aprire una porta.» Ed ecco che il regista e protagonista offrono così allo spettatore un aiuto per poter andare avanti nella visione del lungometraggio: un attimo prima siamo con Danny in attesa della sua esibizione, un attimo dopo ci ritroviamo altrove, ma altrove nel posto giusto.
Fin dai primi minuti dall’inizio della proiezione, risulta evidente la provenienza teatrale di Massimo Piccolo. Il lavoro del regista riconduce facilmente alle parole di Eduardo De Filippo, una massima che si può adattare facilmente al teatro e alla settima arte: “Per rappresentare qualcosa ci vuole molta pazienza, estrema penetrazione e ascolto.” Se fosse venuta a mancare solo una di queste tre cose “Assolo” non avrebbe ragione di esistere, ma il regista non è un semplice “drammaturgo da scrittoio” bensì un ottimo direttore d’orchestra.
L’ossessione di Piccolo per la musica risulta evidente e non perché ha scelto di raccontare la storia di un sassofonista, bensì perché è riuscito a mettere insieme un’orchestra e a dirigerla facendo rispettare ad ogni strumento la sua partitura.
Il viaggio di Danny Sweet Touch andava fatto con le persone giuste e la scelta soprattutto del protagonista Antonio De Matteo e del pianista Claudio Passilongo sono i due esempi più lampanti.
Come ogni partitura che si rispetti, anche “Assolo” ha il suo leitmotiv: l’amore impossibile, quello che forse nemmeno esiste perché in fondo “l’universo è troppo grande per stare con una persona sola e la vita d’altro canto è troppo breve”.
Poco più di un’ora alla fine del film, ma l’intera vita di Danny per arrivare su quel famoso palco. Non una sola nota suonata dal protagonista col suo sassofono, anche se lo strumento è onnipresente. Onnipresente il sax così come la musica stessa che travolge lo spettatore e i personaggi come onde, come pioggia che cade e mare che abbraccia.
A circondare e stupire il pubblico ecco anche le lacrime, perché in “Assolo” si deve piangere quando c’è bisogno di piangere. E alla fine non si capisce a chi appartengano quelle stesse lacrime, si avverte però che aspettavano qualcuno e qualcosa per uscire allo scoperto.
Lacrime per denudarsi, anche se la maggior parte dei personaggi cercano protezione dal mondo esterno attraverso atteggiamenti e frasi ripetute.
Ed ecco così come quasi alla fine del film risulta impossibile non diventare un’unica cosa con l’anima del protagonista. Noi siamo Danny, Danny “Sweet Touch”, o come lo definisce un po’ troppo spesso Alfie, Danny “The Best”.
Raccontare storie d’amore può risultare quasi banale, una sfida è raccontare una storia d’amore banale in maniera originale. Massimo Piccolo riesce in questo tipo di impresa.
Raccoglie frammenti di anima e di cuori e li monta insieme come Danny fa con il suo sassofono. L’incanto della pellicola non svanisce con i titoli di coda in quanto il regista ha solo montato lo strumento, lasciando a noi il potere delle note.
Un film impossibile da collocare, una sfida coraggiosa soprattutto per un regista non solo esordiente quanto partenopeo. Una pellicola da non perdere, che avrà echi musicali che lo porteranno lontano.
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