A 34 anni Arisa è già una voce “sicura” del panorama musicale italiano, uno di quei personaggi che il pubblico ama perché si percepisce che non ha mai paura di progredire, alimentare la sua carriera con passi sempre diversi. Di Sanremo ne ha fatti cinque, dal debutto nel 2009 con Sincerità alla vincita del 2014 con Controvento. Quest’anno torna con Guardando Il Cielo, una canzone delicata scritta tempo fa ma solo oggi cantata “con coraggio perché la intendo come una preghiera, mi ha salvato il cielo quando avevo pensieri brutti”.
Non hai paura che tornare su un palco che hai già conquistato possa essere pericoloso?
«E perché? La vita è un viaggio, ognuno cerca il suo posto. Non smettete mai di cercare, cercare la propria dimensione, il posto nel mondo. Io ci vado convinta, poi se va male significa che mi sono sbagliata. Io ci torno perché questa volta il cast è bellissimo e spero di potermi divertire fino a tarda notte a fare festa con i miei colleghi.»
Che disco sarà questo nuovo album?
«Si chiama con la canzone ed è un inno alla natura. Io sono lucana e due anni fa mi sono concessa una lunga vacanza estiva a casa. Ho capito quanto le mie origini campagnole mi abbiano formato, c’è molto della natura che mi ha fatto crescere in queste canzoni. C’è anche un pezzo, Gaia, che è un omaggio alla terra, alla madre. La martoriamo con le trivelle per cercare il petrolio, la deturpiamo, la inquiniamo. Ma poi la terra di riprende il suo posto, ne sono convinta. Un saggio orientale diceva: gli occidentali passano la giovinezza ad ammalarsi e la vecchiaia a curarsi, pensiamoci.»
Tempo fa avevi dimostrato un po’ di delusione verso questo mestiere. A che punto sei oggi?
«Forse ti riferisci al fatto che la musica è in crisi e mi lamentavo di quanto l’Italia non proteggesse la propria musica. Si dovrebbe approvare una legge che tuteli il patrimonio straordinario che abbiamo. Se penso alle canzoni italiane che durano nel tempo, sono tutte canzoni con grandi messaggi che restano, sono delle poesie. E noi ce ne dimentichiamo.»
A chi guardi del passato?
«Ce ne sono troppi. Concato, quando ero bambina lo ascoltavo molto. Pino Daniele, Lucio Dalla, Antonello Venditti, Claudio Baglioni. Poi Franco Battiato, certo, come non citarlo. Un tesoro inestimabile, Samuele Bersani. Ma anche di recente, Laura Pausini o Emma quando dice “arriverà l’amore a questo mondo”. E poi altri pilastri, Altrove di Morgan, Siria de “L’amore è “. Sono delle poesie, non piatti di carta che si buttano.»
Hai scritto i testi del nuovo disco, c’è una consapevolezza maggiore in te della canzone come forma di espressione?
«Siamo sulla terra per creare, è il nostro compito. Il cuore è il vero centro perché ci parla col battito e pulsa anche quando non lo vogliamo far vedere. L’amore è la parte della vita che ci salva, investiamo negli affetti. Questo voglio dire.»
Cos’è l’arte per te?
«Quando crescevo, ascoltavo Lorenzo 1994 che mi parlava con contenuti profondi, la strage di Moro, il ballerino di jazz, la storia delle vacche sacre in India. Avere speranza, avere sete di conoscenza. L’arte è l’unico modo per far capire qualcosa, per comunicare, per sviluppare il senso critico. Per chiedere al pubblico: e tu come la pensi?»
Hai anche presentato Sanremo e hai fatto tante esperienze in tv. Cosa ti manca?
«Mi piace il ruolo di curatore di talenti, più che di giudice. E poi mi piacerebbe fare la tv per i bambini, leggere fiabe alle otto e mezza di sera. Quello sì.»