“Antigone” ideato, interpretato e diretto da Julia Borretti e Titta Ceccano è lo spettacolo della compagnia Matutateatro che andrà in scena al Teatro Studio Uno dal 17 al 20 dicembre. “Antigone” attraverso una rilettura del testo di Sofocle restituisce una profonda e attenta riflessione sulla contemporaneità e sul nostro presente.
Nessuna interpretazione può esaurire la ricchezza di significati della tragedia di Sofocle. La figura di Antigone ancora oggi non smette di sollevare le eterne questioni del conflitto tra Oikos e Stato, tra donne e uomini e tra giovani e vecchi.
La messa in scena, che si nutre del classico sofocleo, della versione novecentesca di Anouilh e di quella cinematografica della Cavani, si apre ai linguaggi della contemporaneità innestando nella trama riflessioni sui tempi che viviamo, amplificando così il valore politico dell’opera. Valore politico che è indubbiamente la sua caratteristica più precipua, una caratteristica che nei secoli ha conservato alto l’interesse sulla tragedia di Sofocle.
Un atto d’accusa nei confronti della società contemporanea e di una classe politica che uccide i propri figli, così come fa Creonte. Lo spettacolo è ambientato in una vetrina, luogo dove la nostra società svende i propri figli, mentre l’immagine di Creonte che guarda continuamente una TV è il simbolo di una classe politica che ha perso i rapporti con la realtà. Ma questo set è anche un interno borghese dove si consuma una violenza domestica che è fisica e metaforica allo stesso tempo., le separazioni e i ricordi, visioni necessarie ad un ciclico ricambio di pelle.
Matutateatro nasce dall’incontro tra Julia Borretti e Titta Ceccano, attori, autori e registi che raccolgono l’eredità bastarda di un teatro artigianale difficilmente inquadrabile in confini di genere o etichette. Nella loro autoformazione incontrano il teatro di tradizione e il teatro di strada, l’Odin Teatret e Mamadou Dioume, Bogdanov e Monetta, Quartucci-Tatò e il Teatro Ippocampo, Marise Flach e Mario Barzaghi, Massimiliano Civica e Ilaria Drago, Enzo Moscato e Furio Scarpelli in un rapporto continuo e necessario con la pluralità dei linguaggi della scena.