Avrei dovuto pubblicare la recensione dello spettacolo “Animae in San Lorenzo” di Naviganti InVersi il 25 luglio 2014. La compagnia era al lavoro dal 12 giugno, io ho potuto assistere solo all’ultima replica del 24 luglio e adesso ho addirittura aspettato agosto per scrivere finalmente qualcosa.
La verità è che mi sono persa nella Basilica di San Lorenzo Maggiore a Napoli. Sono rimasta per oltre 10 giorni tra il suo cortile e i sotterranei in compagnia di Masaniello, Boccaccio, Poppea, Agrippina, Nerone, Giovenale, Augusto, Fiammetta, Fedro, Cosimo Fanzago e altre anime che da secoli aspettavano di essere ascoltate.
Grazie a ognuna di loro sono entrata in una dimensione senza tempo in cui è facile ritrovarsi faccia a faccia con “pericolose” verità, con sentenze che gli antichi faticavano ad ascoltare già secoli e secoli fa e che noi uomini del terzo millennio ci impegniamo quotidianamente a dimenticare.
Dialoghi scomodi quelli di ogni singola anima, parole che evocano immagini immortali, situazioni apparentemente senza un preciso ordine cronologico che però riescono ugualmente ad avere un loro particolare filo rosso.
Come in ogni storia che si rispetti, anche qui a San Lorenzo si è parlato anche d’amore, in molte delle sue forme, ma soprattutto ci si è confrontati con il passato e con il presente cercando di immaginare, grazie soprattutto alle continue provocazioni di Masaniello, come andranno le cose in un prossimo futuro.
Gli spazi teatrali ipnotizzano anche lo spettatore più distratto, questo viaggio fisico che ha condotto il pubblico fino all’antica Grecia ha reso ogni singolo individuo un esploratore meticoloso e bramoso di conoscenza.
Ci si ritrova per caso a seguire la piccola saccente Martina tra le tabernae del macellum. E così, dopo un primo impatto anche un po’ sgradevole, il pubblico non può più fare a meno di lei e delle sue spiegazioni: quella bimba di otto anni risponde a domande che tutti vorrebbero fare ma che poi, in definitiva, nessuno fa.
Ciliegina sulla torta di questa pièce è l’interazione tra attori e pubblico, l’abolizione totale della quarta parete. Lo spettatore è nel racconto. Ognuno diventa, episodio dopo episodio, un nuovo personaggio. Senza pubblico le anime non esistono, queste ultime infatti parlano solo a cuori che battono. L’intimità e il numero ristretto di persone che possono assistere alla rappresentazione fanno poi il resto.
I Naviganti InVersi (compagnia formata interamente da attori giovanissimi e visibilmente appassionati al loro lavoro) diretti da Maurizio D. Capuano non badano alla quantità, ma solo alla qualità dell’emozione.
Lo spettacolo può essere visto replica dopo replica da un numero esiguo di spettatori e a mio avviso non si tratta solo di un problema logistico legato agli spazi, ma anche all’intensità dei sentimenti.
Si deve navigare nel racconto senza naufragare, i pensieri e le riflessioni che vengono fuori da un lavoro di questa portata devono comunque rientrare tra una poppa e una prua.
Le anime non svaniscono a fine spettacolo: aprendo i nostri cuori portiamo via con noi ogni singolo personaggio con le sue idee, le sue convinzioni e la sua voglia di rivoluzionare il mondo.
Diventiamo capitani delle nostre navi e torniamo a casa con la voglia di cambiare la nostra vita: non domani, ma adesso, in questo preciso istante.
Uno spettacolo imperdibile, un percorso itinerante che merita di arrivare in molti altri luoghi.
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