Il Complesso del Vittoriano ospita due grandi mostre: Alphonse Mucha (15 aprile – 11 settembre 2016) e Barbie. The Icon (15 aprile – 30 ottobre 2016).
Alphonse Maria Mucha incanta con un’arte suggestiva fatta di incantevoli ghirigori, fiori e figure eteree. È un talento sin dall’infanzia tanto che il conte Karl Khuen Belasi di Mikulov si interessa al suo lavoro e lo assume per decorare con degli affreschi i suoi castelli di Emmahof (in Moravia) e di Gandegg (ad Appiano nel Tirolo). Il conte è talmente impressionato dalla sua arte che decide di sostenerlo economicamente. Grazie a questo sussidio Mucha si iscrive all’Accademia delle Belle Arti di Monaco di Baviera prima e, a 27 anni, presso L’Accadémie Julian e l’Accademia Colarossi a Parigi, all’epoca centro nevralgico e fondamentale per tutte le arti.
Ad un certo punto, per motivi non pervenuti, il conte smette di elargire e Mucha si ritrova squattrinato tra gli squattrinati artisti dell’ormai leggendaria Montmartre. Si dedica alla fotografia ma, per affrontare le difficoltà economiche, comincia a produrre illustrazioni per riviste e manifesti pubblicitari tanto belli da essere poi assunto dall’importante casa editrice Armand Colin.
Nel 1894 arriva la svolta, l’incontro con la divina attrice francese Sarah Bernhardt che vuole un poster per pubblicizzare lo spettacolo Gismonda di Victoria Sardou. Il manifesto è per tutta Parigi, stupendo in tutta la sua eccezionale novità. Un formato verticale, assolutamente inedito, con l’immagine della celebre attrice rappresentata quasi a grandezza naturale. La scena della processione dell’ultimo atto costituì la fonte di ispirazione per lo splendido e fastoso costume simile ad un paramento sacerdotale. Colori raffinati e stupendi in uno sfondo a mosaico punteggiato da aureole appena accennate. Un’atmosfera, quindi, sacrale che ben si addice alla venerazione quasi religiosa nei confronti dell’attrice-musa simbolo della Belle Epoque.
Ancora oggi Gismonda costituisce un esempio di moderna concezione cartellonistica. Sarah Bernhard ne è estasiata e, senza esitazioni, decide di sottoscrivere, con l’artista moravo, un contratto esclusivo di sei anni che comprende non solo la pubblicità ma anche i costumi e le scenografie. Da lì, un successo immenso, tutti vogliono farsi pubblicizzare o pubblicizzare il proprio prodotto aziendale. Tutti vogliono Mucha.
Ma l’artista ha in mente la sua patria natìa (nasce a Ivancice, in Moravia, una regione dell’odierna Repubblica Ceca, che allora faceva parte dell’impero Austro-Ungarico) e sogna la libertà. Quando la Cecoslovacchia, dopo la Prima Guerra Mondiale, ottiene l’indipendenza Mucha ne disegna francobolli, banconote e altri documenti governativi per i quali non vuole essere rimunerato.
Il suo intento, però, è raccogliere fondi per la sua opera più importante: l’Epopea Slava, venti quadri di grandi dimensioni che rappresentano un’epopea simbolica del popolo slavo fin dall’Antichità, che viene completata e presentata a Praga il 14 luglio 1928.
Per questo si reca negli Stati Uniti dove, a New York, il suo arrivo è un vero e proprio avvenimento e dove, finalmente, troverà un milionario americano pronto a sostenerlo.
Nel 1939 Mucha viene arrestato, interrogato e rilasciato dalla Gestapo, dopo che la Germania ha invaso la Cecoslovacchia e, poco tempo dopo, il 14 luglio, muore a Praga in circostanze ancora misteriose. Viene sepolto nel cimitero praghese di Vysehrad e gli viene dedicato un museo non molto lontano da Piazza San Venceslao.
Già ai tempi della sua morte, tuttavia, lo stile di Mucha (come d’altronde tutto lo stile Liberty) era considerato superato e datato e solo negli anni sessanta, tornò di moda, tanto che molti famosi illustratori (come ad esempio Bob Masse), anche in tempi più recenti, hanno riportato in auge tutti gli elementi tipici del suo disegno, quali cornici floreali, figure geometriche e figure con abiti classici.
Ad ogni modo, talento intramontabile e mostra da non farsi scappare.