Va in scena al Teatro Diana, a partire da stasera, mercoledì 21 gennaio, lo spettacolo Don Giovanni di Molier con Alessandro Preziosi e Nando Paone per la regia dello stesso Preziosi, le scene di FabienIliou, i costumi di Marta Crisolini Malatesta, le musiche di Andrea Farri, le luci di Valerio Tiberi e la supervisione artistica Alessandro Maggi.
Quando il mare è agitato, i flutti spumeggianti formano un tale turbinio di immagini, quasi degli esseri viventi, ed è come se fossero questi esseri a mettere in moto i flutti; e tuttavia, al contrario, è l’agitarsi dei flutti a formarli. Così Don Giovanni è un immagine che compare costantemente ma non acquista mai contorni né consistenza; un individuo che è formato costantemente ma non viene mai compiuto, e nella cui storia non s’apprende nient’altro se non s’ ascolta il fragore dei flutti. Søren Kierkegaard
Donn’Anna: Chi siete dunque?
Don Giovanni: Un’infelice, vittima di una passione disperata.
Don Giovanni è un mito senza tempo, estremamente moderno, rielaborato innumerevoli volte in diverse epoche e da differenti personalità artistiche, ma nonostante di Don Giovanni si sia tanto scritto e discusso, il personaggio non si lascia definire, resta per così sfuggente.
Il desiderio di riproporre oggi una visione originale di questo classico nasce dalla consapevolezza che il personaggio è ancora oggi di grande attualità e non basta prendere una versione di un singolo autore e riadattarlo.
La storia nel nostro allestimento ci viene raccontata, come per la prima volta si suppone l’abbia udita da Da Ponte, con l’intento di farci toccare da vicino e sotto i nostri occhi, da inizio a fine, il processo creativo con la prospettiva visionaria di dar luogo comunque a qualcosa di inesplorato e di ripercorrere con occhi contemporanei il viaggio di chi ci ha preceduto.
L’obbiettivo di una regia pensata come nel cinema oggi si fa con il tridimensionale è di accendere nella fantasia degli spettatori il piacere dei sensi, facendo materializzare sotto i loro occhi, uno dei più affascinanti archetipi letterari della cultura occidentale.
La messa in scena riunisce quindi sotto la sua egida il piano realistico della commedia di “cappa e spada” e quello fantastico/simbolico del soprannaturale, che racchiude la morale finale tipica del canovaccio di Tirso, tendendo ad esaltarne l’estremo vitalismo anche quando l’invito al godimento dei sensi sembra solo prendere origine dal tedium vitae e dal vuoto interiore.
Don Giovanni, con la sua frenesia, il suo essere oltre, il suo slancio vitale e il suo destino di morte, attira tutti gli altri personaggi, sia uomini che donne; anche quando lo odiano o lo negano, non fanno che pensare a lui, parlare di lui, agire per lui.
Il protagonista è un personaggio seducente, figura ricca di controluce, sempre in scena, autentico funambolo del trasformismo, come se ad ogni conquista cambiasse pelle.
Il vero peccato di Don Giovanni però non sta nel suo comportamento irrispettoso, bensì nel pensare impunemente che come con la giustizia terrena, dove forte dei suoi privilegi riesce sempre ad avere la meglio, anche con quella divina potrà al momento opportuno trovare un modo per salvarsi.
Don Giovanni diviene così emblema di una spensierata gioia di vivere, del piacere sensuale, dell’intelligenza strategica messa al servizio degli inganni e del disprezzo verso l’irrazionale anche se finisce per accostarsi comprende, anche alla sfera del divino, restando avviluppato nella sua coscienza nel mistero del finale.