«Quale fu la causa della Guerra di secessione? A dire la verità di cause ce ne furono molte, a partire dalle divisioni tra abolizionisti e antiabolizionisti, fattori economici domestici ed internazionali…Ehi,ehi…Sì… Dica schiavitù e basta» (I Simpson)
Di recente è stato pubblicato per le Ed. Sellerio, il nuovo romanzo storico di Alessandro Barbero dal titolo Alabama.
«L’America profonda, bianca, povera, razzista, che il mondo ha visto balenare nell’assalto al campidoglio di Washington, viene rappresentata in questo romanzo, nei suoi anni, per così dire di formazione. Lo storico Alessandro Barbero torna indietro nel tempo per riportare alla luce un episodio atroce e simbolico, attraverso la voce di un vecchio uomo dell’Alabama.
Guerra di secessione americana. Un reduce, un sudista, uno sconfitto dalla vita e dalla guerra. Una studentessa di un college lo invita a ricordare. Lui non si lascia pregare e racconta…»
Noi di Mydreams abbiamo seguito la presentazione via streaming, organizzata dalle Librerie Ubik. Numerose le domande poste al professor Barbero.
Come è nata l’idea di scrivere un romanzo storico e non un saggio sulla Guerra di secessione americana?
«Tutti i miei libri nascono da un innamoramento per un personaggio, per un’epoca, per una storia che trovo affascinante ma anche per un suggerimento editoriale. Ho letto moltissimo sulla storia americana di quel periodo e soprattutto testimonianze di persone che hanno vissuto quelle dolorose vicende, soprattutto quelle di coloro che avevano “perso”. Le vittorie infatti le ricordano in pochi mentre le sconfitte danno più pathos. A tale proposito mi viene in mente una frase della ex tennista statunitense Billie Jean King: “La vittoria è passeggera, la sconfitta è per sempre”. Ho scelto la forma del romanzo storico perché in verità è stato scritto e detto molto sulla Guerra di secessione americana e non avevo alcuna novità da scrivere che gli storici non conoscessero già».
Quanto si è affrancata la società americana dallo schiavismo?
«Il romanzo prende il via nel 1942 quando le leggi della segregazione imperavano. Mancano più di vent’anni dalle marce di Martin Luther King, dall’episodio dell’autobus di Rosa Parks, dalle lotte e le battaglie per i diritti civili dei negri d’America. Alabama doveva essere costruito soltanto sui ricordi del reduce, attraverso un suo monologo riguardante gli avvenimenti ai quali lui aveva partecipato. Il personaggio della ragazza non era previsto ma in un certo senso è stato necessario per liberarmi dalla logorrea del vecchio. Ricordo a voi tutti il film Indovina chi viene a cena degli anni ‘60 e il libro Il segno rosso del coraggio di Stephen Crane scritto nel 1895. È un libro stupendo, da me tradotto qualche anno fa per la Mondadori e che mi ha molto influenzato nella stesura di Alabama. Spero che venga ripubblicato a breve perché al momento è introvabile. È breve come il mio e parla della stessa battaglia. Tenevo per i sudisti fin da quando ero bambino con una simpatia a pelle e viscerale. Mi affascinava soprattutto il mondo contadino del Sud, una vera sfida per uno storico come in seguito sono diventato. Peccato che sia passato nell’immaginario collettivo il Sud di Via col vento ma c’è molto di più: una guerra per la libertà e per la democrazia, una civiltà ancora primitiva e violenta al servizio del sogno americano, una componente religiosa che propendeva per la schiavitù. E i neri d’America? A ben guardare la situazione è rimasta drammatica fino ai nostri giorni».
Cosa ha comportato per uno storico l’arrivo della fotografia?
«La fotografia ti dà l’illusione di essere lì, in trincea, tra i soldati con le divise sporche di fango e di sangue. I ritratti dei generali ti fanno comprendere come in quel periodo si invecchiasse in fretta. Sono foto in bianco e nero che forse testimoniano la drammaticità di quei momenti ma che per uno storico rappresentano soltanto un’aggiunta. Le parole ovvero i testi scritti sono la unica e vera fonte per comprendere appieno quel periodo storico. Per la copertina del libro la casa editrice ha utilizzato una bella foto che potrebbe essere proprio quella di Dick Stanton, il protagonista di Alabama».
Quale saggio bisogna leggere per comprendere appieno la Guerra di secessione americana?
«La storia della guerra civile americana di Raimondo Luraghi, un capolavoro. L’autore soggiornò per lunghi anni in America e assomigliava ad un vecchio gentiluomo del Sud».
Gli americani conoscono bene la loro storia? E noi italiani?
«La storia americana non è ricca di avvenimenti come la nostra che è millenaria. Anche se ci rechiamo in un piccolo borgo troviamo le vestigia di un passato glorioso. Gli americani sono un crogiuolo di popoli: cinesi, messicani, polacchi, ungheresi, italiani…Molti campi di battaglia in America sono stati musealizzati mentre da noi no. Tuttavia ragionare sulla propria storia in modo critico è tutta un’altra cosa».
Cosa pensa del fatto che in Italia si vogliono abbattere statue del passato e ricorrere ad una nuova toponomastica?
«È importante salvare la conoscenza del passato. Abbiamo sempre vissuto le statue dei personaggi in modo positivo ovvero come persone a cui ispirarci. La tendenza a riconoscere che erano diversi da noi non ci autorizza a toglierli di mezzo. Non dobbiamo confondere i valori attuali con quelli del passato. Magari nel 3000 avremo una società formata da individui vegani e saremo considerati male perché mangiamo la carne. Dobbiamo conoscere, imparare e studiare tutto ciò che è avvenuto nella storia precedente alla nostra».
La guerra civile americana portò al capitalismo con una schiavitù dei bianchi al posto dei negri nelle fabbriche?
«Indubbiamente la schiavitù aveva degli aspetti inaccettabili come lo sfruttamento della classe operaia nell’800. Il discorso sarebbe lungo ed articolato perché presenta delle contraddizioni e delle similitudini tragiche ed impressionanti».
La guerra civile americana è stata combattuta soltanto per eliminare la schiavitù?
«Le interpretazioni storiche sono cambiate. Negli anni ‘60 si preferiva mettere al centro della discussione il fatto che gli interessi economici del Nord erano differenti da quelli del Sud e mi riferisco in particolare ai dazi e alle tariffe doganali. Oggi posso affermare che si dà una maggiore importanza alla questione razziale. I fatti storici li conosciamo bene, tuttavia non ci sarà mai una risposta definitiva a questo interrogativo».